Francesco Sisci, sinologo, giornalista, tra i massimi esperti di Cina non ha dubbi: ciò che è avvenuto in questi giorni a Pechino è qualcosa per far cambiare la percezione della Repubblica popolare nel mondo.

Cominciamo dal messaggio militare. Ieri c’è stata la parata militare di Pechino, cosa ne ha tratto?
«Il messaggio militare è che la Cina non vuole la guerra ma è pronta alla guerra. Perché Pechino mostra i muscoli e dice ai cinesi, agli americani e al mondo di avere un esercito che è all’altezza di quello Usa. Anche l’avere sfoggiato il nuovo missile balistico DF-5C insieme ai missili nucleari lanciabili da sottomarini, i Jl-3, e da aereo, è un segnale molto importante».

Come diceva prima, oltre al messaggio militare c’è un secondo messaggio, quello politico. Cosa ha significato questa settimana per Pechino?
«Con questo vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, la cosiddetta Sco, Pechino ha dimostrato di non essere affatto isolata o con un ruolo ridotto. E anzi, grazie all’arrivo del premier indiano Narendra Modi, la Cina ha dato dimostrazione di essere politicamente all’offensiva. Cioè di volere allargare il suo cerchio tradizionale di amici».

Un segnale anche da parte dell’India?
«Certo, l’India corteggiata dagli Stati Uniti. Quindi un doppio segnale sia da parte di Nuova Dehli che di Pechino nei confronti di Washington».

È un mod per dire che questa è l’alternativa all’Occidente?
«Si, anche perché in questa occasione, in questa parata, si è dimenticato e oscurato il ruolo invece che l’America ha avuto nella vittoria della Seconda guerra mondiale. Non c’erano gli statunitensi, non c’erano gli Alleati… e quindi si rafforza l’elemento di contrapposizione».

Francesco SisciSempre dal punto di vista diplomatico, ma con un occhio al Vecchio Continente, è interessante anche la presenza di rappresentanti europei. C’è una logica meramente economica o anche politica?
«Certamente, c’è la logica di voler segnalare che alcuni Paesi europei (e in particolare sia della Nato che dell’Unione europea) hanno una politica estera diversa. Sono Stati che, come accadeva anche durante la Guerra fredda, cercano di fare i cerchiobottisti. Perché da una parte vanno a Pechino, ma dall’altra parte non lasciano la Nato o l’Ue. Fanno però un gioco di piccolissimo cabotaggio, che è possibile fare perché sono Paesi piccoli».

La parata e la riunione della Sco arrivano nel mezzo di due guerre, quella in Ucraina e quella a Gaza e in generale in Medio Oriente. Partiamo da Kyiv, che ruolo sta giocando Pechino?
«La Cina non ha interesse a sostenere una pace in Ucraina in questo momento. Perché una pace in Ucraina aprirebbe una serie di problemi enormi per Vladimir Putin. Il presidente russo dovrebbe giustificare davanti alla sua gente tre anni di guerra, pochissimi progressi militari e grandi sconfitte politiche, come l’allargamento della Nato, la rimilitarizzazione dell’Europa e l’altissimo numero di morti».

E sul Medio Oriente?
«C’è stata una correzione della rotta. I cinesi, dopo il 7 ottobre 2023, scommettevano sul fatto che i Paesi musulmani e quelli arabi si sarebbero accordati per sostenere Hamas. Oggi che questo non è accaduto e che i proxy dell’Iran sono stati sconfitti sia in Libano che in Siria, mi sembra che ci sia uno sforzo da parte della Cina di ricucire i rapporti con Israele e di avere una prudenza maggiore con l’Iran. Infatti, quando c’è stata la guerra con Teheran, la Cina non ha compiuto mosse particolarmente forti».

Ieri è stata anche la giornata di Kim Jong-un. Che partita sta giocando?
«Adesso credo che il ruolo del leader nordcoreano sia quello di collante tra Cina e Russia e quindi sta cercando di avere vantaggi dall’uno e dall’altro. Questa è la politica di Pyongyang sin dall’inizio della Guerra fredda, cercando sempre di barcamenarsi tra Mosca e Pechino e ottenere vantaggi dall’uno e dall’altro. Oggi questo ruolo è ritornato con più forza. Ci sono degli elementi di dettaglio molto interessanti».

Quali sono in particolare?
«Uno è che ha portato la figlia, quindi vuol dire che questa ragazzina è l’erede del trono e che c’è una continuità dinastica. Il secondo dettaglio è che circolano le immagini di una squadra di inservienti nordcoreani che dopo l’incontro con Putin hanno pulito la poltrona e il tavolo rimuovendo impronte digitali e segni anche del bicchiere dove Kim aveva bevuto. I nordcoreani non vogliono lasciare in Cina tracce del loro leader. Il che ci fa pensare al clima di paranoia assoluta in cui vivono ma anche che non si fidano dei cinesi. Fa riflettere poi che l’incontro tra Modi e Putin sia avvenuto in privato nella limousine del premier indiano. Fuori da ogni orecchio indiscreto».