Sono mesi ormai che la guerra ucraina è passata in secondo piano rispetto a quella di Gaza, di Gaza e non mediorientale. A pensarci bene, molto prima del 7 ottobre 2023, senza alcun motivo, si parlava di Gaza come prigione a cielo aperto, terra martoriata, terra in cui i bambini non potevano giocare. Dopo quella tristissima data abbiamo appreso, però, che dal 2007 ad oggi erano stati costruiti 700 chilometri di tunnel, che a Gaza City c’erano grattacieli e alberghi di lusso, che a Khan Yunis c’erano auto di grossa cilindrata, che c’erano moltissime università, più di 30 ospedali, scuole, moschee, resort a mare. Ma di questo si è parlato per un tempo infinitesimo, mentre tutto quello che continuava a succedere in Ucraina ad opera dei russi finiva nelle pagine interne dei quotidiani.

I bimbi rapiti e deportati in Russia

In Ucraina sono stati rapiti e deportati in Russia migliaia di bambini, cui sono stati uccisi i genitori; c’è stato il massacro di Bucha, dove sono avvenute le stesse atrocità del 7 ottobre nel sud d’Israele, ma tutto è finito nel silenzio. Tutti gli occhi su Gaza, dove è morta la Shoah. Per tre anni l’Occidente ha impedito agli ucraini di condurre una guerra d’attacco, mentre subiva una pioggia continua di droni, missili, bombe teleguidate e solo ora che gli ucraini hanno portato la guerra fino in Siberia si riparla di Putin, che ha sentito Papa Leone XIV e Trump per anticipare che la Russia avrebbe reagito duramente con almeno 500 droni al giorno.

La piazza del 7 giugno e l’Ucraina dimenticata

Gaza è una lingua di terra, mentre l’Ucraina è grande tre volte l’Italia, e ha subìto le stesse devastazioni. Eppure, la piazza del 7 giugno non ne ha parlato. Sui bambini di Gaza si sono mobilitati intellettuali, cineasti, partiti politici, personalità dello spettacolo, religiosi; non importa che quello che dicono non abbia un filo di logica e a nessuno interessa che, mentre a Gaza le organizzazioni dell’Onu portano soldi, viveri e beni, in Ucraina non si vede nessun aiuto all’orizzonte. Come si diceva, non c’è logica: in tv si vedono dei bambini con delle pentole e dei cucchiai in mano che vanno a cercare di prendere del mangiare; eppure si sa che i pasti stanno arrivando in involucri preconfezionati, per i quali le pentole sono semplicemente inutili, mentre in tutto il mondo si mobilitano istituzioni e piazze.

Si è parlato finora della disparità di trattamento mediatico tra i bambini di Gaza e quelli ucraini, ma ci sono anche i bambini israeliani che sono stati sgozzati, vivisezionati e bruciati, e ci sono i bambini russi che muoiono per le bombe ucraine e viceversa. Ma la scena è occupata, per così dire, solo per un quarto. Intendiamoci: l’infanzia è una categoria unica e le sofferenze dei bambini di Gaza sono uguali a quelle degli altri, ma è profondamente ingiusto e lontano da ogni regola che si puntino i riflettori solo da una parte ed è profondamente ingiusto che lo si faccia non per aiutare i bambini, ma per colpire un solo Paese belligerante. Questa disparità, inoltre, sta riaccendendo cupi fantasmi per gli ebrei. Il sindaco di Milano tollera e consente almeno una manifestazione a settimana pro Gaza, mentre si è rifiutato di colorare la facciata del Comune per commemorare i piccoli Bibas; alcuni “governatori” inoltre fanno politica estera che, come tutti sanno, è materia statale.

Tornando al problema iniziale, bisognerebbe trovare il modo almeno di essere equanimi nelle iniziative, e questo aiuterebbe a trovare una via per la pace, anche se più tempo passa e più si dimenticano i motivi veri delle guerre. Porto per esempio la cosiddetta faida di S. Luca di Aspromonte, in Calabria, nata per una banalità: un bambino di una famiglia a una festa del Santo Patrono tolse la bambola ad una bambina di un’altra famiglia; si accese una rissa finita a colpi di fucile. La faida dura ancora e fu portata fino a Duisburg (in Germania) dove ci furono otto vittime, ma nessuno ricorda più come nacque. Lo stesso si può dire dei due maggiori conflitti in essere, per i quali sono ormai dimenticate le motivazioni iniziali, mentre restano solo l’odio e il rancore.

Marco Del Monte

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