Siamo sicuri che soltanto la carità cristiana e umanitaria che ne guida gli intendimenti ha indotto il presidente della Repubblica a evocare, durante il suo discorso di fine anno, l’immagine della bambina palestinese morta “assiderata” la notte di Natale. Era sicuramente solo per il comprensibile e angosciato trasalimento davanti alla fine ingiusta di un piccolo, innocente essere umano. Era solo per un urgente moto di equanime pietà che Sergio Mattarella, nel reclamare la riaffermazione delle ragioni della pace, anteponeva al corteo dei suoi argomenti (proprio all’inizio, ne ha parlato) la deplorazione per la tragica vicenda di quella bimba.

Ma il capo dello Stato non ignora che una riflessione sui mali del mondo – che, in modo fungibile e in un indifferenziato sussulto umanitario, accomuna la morte di quella piccola, le sofferenze inflitte agli ucraini dagli invasori e la condizione degli ostaggi israeliani ancora trattenuti dalle belve del 7 ottobre (questi i tre elementi lambiti nel giro di una sola frase presidenziale) – ha diritto di cittadinanza solo lì: nel discorso generico e inaderente della persona benintenzionata che prova orrore davanti alle cose terribili.

Al di fuori c’è la realtà, anche la realtà della pace: la quale, come correttamente ha ricordato Mattarella, non è la soggezione alla prepotenza altrui e non è l’abdicazione al dovere di contrastarla. E, in quest’altro quadro, il popolo ucraino aggredito, gli ostaggi israeliani e i bambini di Gaza stanno bensì insieme, ma in un modo che non era dato cogliere nelle parole del presidente della Repubblica. Il popolo ucraino è vittima di chi l’ha aggredito, l’ostaggio israeliano è vittima di chi l’ha rapito e il bambino palestinese è vittima di chi ha deciso, fruendo di complicità larghissime e impunite, di offrire il martirio di Gaza alla causa della distruzione di Israele e dell’uccisione di tutti gli ebrei.

Una colpa immane perseguita la comunità internazionale, che non solo ha chiuso gli occhi davanti al sacrificio della popolazione civile palestinese, ma ne ha consentito (quando non addirittura istigato) l’attuazione non condannandone gli artefici. È stato molto facile e molto ipocrita denunciare la spaventosa sofferenza dei bambini di Gaza imputandola all’oltranzismo bellico israeliano, alla pretesa mancanza di “proporzione” delle operazioni nella Striscia, quando non a franchi intenti genocidiari dello Stato ebraico.

Era più difficile vedere il male dov’era ed era più difficile denunciarlo per quel che era. E a impedire questo doveroso riconoscimento era un altro male, cioè il pregiudizio che inibiva ai più di negare legittimità al progetto delle dirigenze terroriste palestinesi, vale a dire il progetto di una autodeterminazione che passasse per la distruzione di Israele proprio tramite l’offerta in sacrificio dei civili di Gaza. Il bambino palestinese che muore nella guerra e per la guerra fatta a Israele è risarcito dai canti e dalle invocazioni a Dio che lo fanno martire lungo la via della liberazione. Queste sono verità che non dovrebbero offendere meno le sensibilità cristiane e umanitarie di chi, comprensibilmente e meritoriamente, freme per tanta tragedia. Ma sono verità neglette.

Altro, certamente, non ignorava il nostro presidente della Repubblica mentre evocava la morte di quella bambina. Non ignorava che quelle sue parole sarebbero state impugnate esattamente dai tanti di cui sopra, i tanti che quelle verità più implicanti e significative rinnegano in forza di un pregiudizio sui cui contorni non è neppure il caso di intrattenersi. Aver deciso, come Mattarella ha deciso, di indugiare ugualmente in argomento, in favore non già soltanto – attenzione – dei molti che come lui semplicemente provano sofferenza per la ingiustissima morte di un bambino, ma fornendo biada a istinti brutali ben altrimenti orientati, è una scelta legittima. Forse – ci permettiamo, rispettosamente, di osservarlo – non abbastanza meditata.