Un referendum costituzionale per cambiare passo, introdurre il premierato (quale?) e saldare al futuro premier una maggioranza non ribaltabile. Questo l’impegno che vede allineate due donne dalla provenienza diversa, Giorgia Meloni e Maria Elisabetta Alberti Casellati, la premier e la ministra delle riforme di un esecutivo che ha bisogno oggi più che mai di trovare un nuovo filone per uscire dalle impasse. La maggioranza fibrilla: la legge di bilancio non emendabile, il dietro front sulle pensioni, l’allungo sulla riforma cara ai leghisti dell’autonomia sono mine sul percorso che dovrebbe tenere insieme le forze della maggioranza. Per non rivangare il giallo sul caso Giambruno, ancora caldo quando è arrivato ieri – affondando indietro, a fatti del 18 settembre – il siluro russo che tutto sembra fuorché la trovata di due comici. Cadranno delle teste, si sente dire a Palazzo Chigi. È in questo contesto che circolano le prime bozze della riforma costituzionale Casellati-Meloni.

Cosa prevede la riforma del Premierato

«Frutto dell’esigenza di coalizzare sensibilità diverse», ci dice una fonte vicina alla ministra Casellati. Però poi a sentir parlare gli esponenti dello stesso centrodestra, le perplessità ci sono. La riforma prevede l’elezione diretta del premier per una durata di cinque anni. «Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere». E poi la norma anti-ribaltone, presentata come modifica dell’art.94 della Carta: «In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere».

Favorevoli e contrari

Una riforma «Frutto dell’esigenza di coalizzare sensibilità diverse», ci dice una fonte vicina alla ministra Casellati. Però poi a sentir parlare gli esponenti dello stesso centrodestra, le perplessità ci sono. E partono dall’alto: dal Presidente del Senato, Ignazio La Russa. Per dirne uno. «Voglio essere sincero, io toglierei quel meccanismo che prevede che, una volta caduto un premier, possa nascere un altro governo con un altro presidente del Consiglio, a patto di essere sostenuto da chi ha votato almeno una volta la fiducia al precedente esecutivo». Anche l’ex presidente del Senato, Marcello Pera, si dice scettico. «Così com’è, mi sembra una schifezza”, si lascia sfuggire. Freddezze e distanze tradiscono un lavoro poco condiviso anche nel centrodestra. Il tempo delle lunghe concertazioni e dei tre saggi è lontano. Lontanissimo. Paolo Emilio Russo, capogruppo azzurro in Commissione Affari Istituzionali, battezza la riforma nel nome del “premierato gentile”. «La riforma non si impatta sui poteri del presidente della Repubblica, che restano in effetti effettivamente gli stessi», dice il parlamentare azzurro forse per rassicurare anche il Colle, che ha acceso i fari sulle prerogative del Capo dello Stato. Alberto Balboni, il senatore che guida gli Affari Costituzionali per Fdi rivendica il lavoro e il valore della riforma, parlandone con il Riformista: «Al di là dei dettagli tecnici, l’elezione diretta del premier mi pare una svolta storica, per garantire il rispetto della volontà popolare, evitare in futuro ribaltoni, maggioranze e primi ministri privi di legittimazione democratica». L’esponente di Fratelli d’Italia è attento alla stabilità: «Questa svolta consoliderà la democrazia dell’alternanza ed il bipolarismo, che rappresenta la forma più matura e compiuta di democrazia. E aiuterà anche l’economia, perché chi vuol investire in Italia vuol sapere quali saranno le politiche economiche, fiscali, industriali dei prossimi 5 anni e non, come accaduto finora salvo rare eccezioni, dei prossimi 10 o 12 mesi». Scontato il giudizio di M5S e AVS, con Fratoianni che parla di «Picconate alla Costituzione». Per il capogruppo di Italia Viva in Senato, Enrico Borghi, è invece un inizio dal quale partire. «In tempi non sospetti abbiamo detto che siamo favorevoli all’elezione diretta del capo dell’esecutivo e non ci tiriamo indietro, anche perché questo modello è coerente con il sistema di governo di regioni e comuni”. Iv non partecipa al tiro a segno delle opposizioni, tenendo a precisare: «Ma bisogna fare bene la riforma. La bozza Casellati è frutto di equilibrismi interni alla maggioranza. Si dovrebbero invece riprendere i contenuti del disegno di legge che abbiamo presentato al Senato».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.