A cena in una bella terrazza romana, attico in Prati, ospiti di un imprenditore della cybersecurity, i commensali si confessano: «Abbiamo votato Pd all’inizio della sua storia, ma se si andasse a votare domani non lo voteremmo più». Poi, uno a uno, si confidano: «Oggi l’unico partito che potremmo votare, noi di centrosinistra, è Forza Italia». Lo confermano, a giro di tavolo, tutti. «Poi se scendesse davvero in campo Pier Silvio, meglio ancora». Qualcuno aggiunge che i centristi sono deboli, divisi, velleitari. Prima di arrivare al gelato sono tutti concordi: «Incredibile a dirsi, Schlein ha fatto in modo che Forza Italia diventasse l’unica casa credibile dei riformisti». Spostandosi a Milano, al Circolo Matteotti, troviamo una locandina che dice già molto. Con i nomi affiancati del segretario di Azione Carlo Calenda, della capogruppo di IV alla Camera Maria Elena Boschi, dei riformisti Pd Giorgio Gori e Lia Quartapelle, del deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova.

Giovedì sera, con l’afa milanese miracolosamente interrotta da una ventata di aria fresca, un incontro sul lavoro offre un’inattesa fotografia d’insieme sulla tenda riformista. Un drappello di campeggiatori in movimento. Per ora rappresentato da sigle diverse. «Il progetto che deve contrapporsi alla destra non può trascurare le componenti riformiste che, purtroppo, sono uscite dal Pd – ha spiegato Gori, tra i più applauditi – ma con le quali non abbiamo mai smesso di dialogare». Sono le componenti che partecipano al “progetto comune” del Circolo Matteotti nato a Milano qualche mese fa per provare a unire percorsi riformisti diversi.

I moderati dem e la federazione

Un primo elenco annovera i comitati dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, la Comunità democratica del senatore Pd Graziano Delrio, perfino la Rete cattolica del deputato Paolo Ciani e dell’eurodeputato Marco Tarquinio – spesso contrapposto, sul Defend Europe come sull’Ucraina, agli altri riformisti dem – e quella dei civici dell’assessore romano Alessandro Onorato, che dalle colonne del Riformista aveva annunciato di aver raggiunto i 200 amministratori locali per il suo progetto. Un mare magnum che può fare da contrappeso a quel centro a cui ha invece accennato Pier Silvio Berlusconi: «Tra M5S e Pd da una parte, e FdI e Lega dall’altra, c’è uno spazio gigante, che equivale a come pensa la maggioranza degli italiani». Per Berlusconi, quello è lo spazio che deve occupare con sempre più convinzione Forza Italia, un partito «progressista e conservatore, liberale e moderato». Un annuncio ancora solo accennato, da proiettare avanti nel tempo. Ma comunque di peso.

E se si torna alla scena iniziale, a quella cena romana dalle riflessioni simili a centinaia di altre conversazioni, si capisce come la contesa verso il voto moderato veda nei riformisti dem un nodo nevralgico. Lo ha capito Pina Picierno, che si muove con sollecitudine per ricucire con le sensibilità lasciate a terra dalle campagne militanti e radicalmente identitarie di Elly Schlein. Il flop del referendum è stato avvolto da una coltre di nebbia dal Nazareno, che parla ossessivamente di Gaza per tacere delle disfatte interne. E non va meglio sul fronte delle regionali. Si voterà qualche settimana dopo il rientro dalle vacanze estive e il carniere piange, per il Pd. Lo sanno bene Gori e gli altri: Lorenzo Guerini, Elisabetta Gualmini, Filippo Sensi, Lia Quartapelle, Piero Fassino sono insofferenti.

Le regionali e l’inchino a Conte

In Campania i dem si apprestano a fare da comitato elettorale per Roberto Fico, replicando passivamente il modello Sardegna: pancia a terra per eleggere il nome indicato da Giuseppe Conte. E in Toscana, dove il presidente Eugenio Giani si è dovuto ricandidare da solo perché il Pd nazionale non si decideva a indicare il suo nome come ricandidato naturale. Il silenzio di Stefano Bonaccini perdura da troppo tempo. Il ruolo di Paolo Gentiloni, che sa smarcarsi opportunamente sui grandi temi internazionali ma per il momento non alza la voce, al Nazareno, rimane in stand-by. Se i riformisti non ritrovano la loro forza, il voto dei moderati è destinato a prendere per sempre altre strade.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.