In Toscana, dove si voterà in autunno per il rinnovo del consiglio regionale, è tempo di definire le liste. Per questo i congressi provinciali del Partito Democratico si trasformano in arene strategiche, dove correnti e sottocorrenti si contendono ogni centimetro di potere. Ma in nessun luogo la situazione è esplosiva quanto a Pisa. Qui, l’arroganza della segreteria nazionale, la pressione delle alleanze artificiali e i giochi di forza locali stanno spingendo il partito sull’orlo della scissione.

La vicenda pisana è talmente intricata da sembrare un esperimento politico da laboratorio — solo che il risultato rischia di essere disastroso. Tutto ruota intorno al congresso cittadino del Pd, che si sarebbe dovuto tenere per eleggere il nuovo segretario e ridisegnare gli equilibri interni. Ma invece di un confronto democratico, il partito si è incagliato in una guerra intestina senza esclusione di colpi. Il congresso è stato sospeso ufficialmente, congelato da una decisione del segretario regionale Emiliano Fossi. Una sospensione che suona più come un tentativo disperato di fermare il tritacarne che si è messo in moto. A spaccare il partito pisano sono due fronti ben delineati. Da una parte i riformisti vicini all’ex presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, dall’altra un asse formato dagli schleiniani duri e puri e i nardelliani capitanati dal capogruppo comunale Matteo Trapani e dal consigliere Andrea Biondi. Le forze in campo sono pressoché equivalenti: 50 e 50, con leggere oscillazioni. Un equilibrio sul quale il peso della segreteria Schlein si fa sentire. E si fa notare.

Il primo colpo viene dal cosiddetto “caso albanesi”. Sessanta operai, in buona parte impiegati nei cantieri del consigliere comunale Biondi, sono risultati iscritti al Pd senza aver versato la quota prevista. Le tessere erano state registrate nel circolo Pisanova, guidato dal segretario Marco Iannella, candidato riformista. A fine maggio, lo stesso Iannella ha denunciato l’anomalia all’ufficio adesioni del partito con documenti che Il Riformista ha potuto esaminare. Da lì è partita un’indagine interna che ha portato alla sospensione cautelare di entrambi i candidati, Iannella e Biondi, e alla cancellazione delle tessere irregolari da parte della Commissione di garanzia. Ma invece di chiudere il caso, la questione ha acceso la miccia. La corrente schleiniana — spalleggiata da parte dei lettiani (la senatrice Ylenia Zambito è tra i protagonisti) e dai nardelliani — ha colto l’occasione per bloccare l’accordo unitario con i riformisti e cercare di imporre una leadership interna senza compromessi. Intanto, da Firenze è stato inviato Diego Blasi, ex assessore a Prato e uomo vicino a Fossi, con il compito di “istruire” la situazione. Un ruolo ambiguo, a metà tra garante e manovratore, che finora non ha portato a soluzioni ma solo ad altri rinvii.

Ma il nodo di Pisa non è un caso isolato. È il sintomo di una crisi più ampia, che investe l’identità del Partito Democratico sotto la guida di Elly Schlein. È in questo contesto che si inserisce l’intervento della vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, che affonda il coltello con parole durissime: “Il Pd non può diventare un club ideologico dove si sta bene solo con chi la pensa allo stesso modo, deve essere aperto, plurale, pronto ad accogliere le differenze. E invece noto un tentativo per evitare le occasioni di confronto, come se chi la pensa diversamente fosse un problema. Un’involuzione preoccupante. E si applaude, a leggere Goffredo Bettini, segno che ormai l’idea è che il Pd debba essere un partito marcatamente di sinistra e chi non la pensa così fa bene a farsi la sua tenda. A quest’idea non mi rassegno, così come non mi rassegno a chi da trent’anni tenta strategie politiche in laboratorio, anzi da un appartamento dei Parioli”.

Picierno lancia un appello esplicito a rilanciare una “gamba riformista” nel Pd, non “genericamente centrista” né “genericamente moderata”, ma capace di costruire una radicale novità programmatica per il Paese. E lancia un monito alla segretaria: se il Pd diventa “una copia allargata di Avs”, il destino di chi non si allinea sarà quello di emigrare altrove. È proprio questo il punto politico: l’identità. Pisa non è solo un regolamento di conti locale, ma il teatro di uno scontro esistenziale sul futuro del Pd. Un partito nato per unire culture diverse — riformista, cattolica, progressista — oggi sembra schiacciato da una logica di esclusione, dove il pluralismo è vissuto come un ostacolo e la diversità come minaccia. La torre di Pisa potrebbe diventare il nuovo simbolo di un Pd che pencola pericolosamente a sinistra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.