L’ex dirigente Pci riconosce il percorso di Meloni e boccia Conte e Schlein
Petruccioli: “La sinistra è di governo solo quando è riformista. Il congresso Pd c’è stato alle urne. Schlein? Tra premier e cinema…”

Parlamentare a lungo e già Presidente Rai, Claudio Petruccioli è stato dirigente del Pci e pilastro dell’area riformista sin dagli anni Settanta.
Una volta l’analisi del voto era una cosa seria. Soprattutto quando c’era una sconfitta.
«Il referendum è l’ennesima conferma di un fatto acclarato. La sinistra è in una competizione democratica nella quale l’oggetto della competizione è il governo del Paese. Gli elettori non la reputano credibile, o per lo meno non la reputano interessante. Perché una sinistra è di governo solo quando la guida politica, la leadership, è quella riformista. Bisogna decidere: la sinistra deve saper fare l’opposizione o deve anche saper governare? La risposta è una verità storica, ormai. Da sempre. Da quando lo scontro era fra riformisti e rivoluzionari, c’erano quelli che dicevano no, la sinistra non deve governare, deve fare la rivoluzione».
Dissidio che ha riguardato anche il Pci…
«Il Pci, che pure aveva il suo iniziale riferimento a un altro sistema, nel momento in cui ha scelto l’impegno sul terreno democratico e costituzionale, ha saputo svolgere nella pratica il ruolo di un partito riformista, ha saputo diventare sinistra di governo, anche se i suoi collegamenti internazionali non ne fecero un soggetto abilitato a stare nel governo».
Petruccioli ci sta dicendo che il “suo” Pci era più riformista di questo Pd?
«Ma scherziamo? Il Partito Comunista ha cercato per tutta la sua storia di conciliare una pratica democratica fondata su una grande intuizione: quella di valorizzare un processo storico importante come è stata la partecipazione di decine di migliaia di persone alla lotta di liberazione contro il nazismo e il fascismo, per tenere la linea di una partecipazione al governo sul terreno democratico e in riferimento alla Costituzione che ricava anche l’impronta del Partito Comunista e della sinistra operaria, del movimento operario. Che cosa c’è di comune tra questa storia e le posizioni che sta prendendo questa leadership democratica?»
La cultura della segretaria del PD è più movimentista?
«Lasciamo stare la segretaria del Pd. Le sembra una cosa seria che un Paese, soprattutto in un momento poi difficile come questo, possa pensare di affidare la funzione di guida del governo ad una persona che dice tra due anni o sono a Palazzo Chigi oppure faccio la regista cinematografica?»
La andremo a vedere al cinema…
«Ah, non c’è dubbio».
Soprattutto perché si scontra con chi, a destra, ha invece fatto un percorso virtuoso.
«Giorgia Meloni sta a Palazzo Chigi perché ha fatto un lungo, lungo percorso di addestramento al governo, per cui ha potuto a un certo punto presentarsi come una credibile o quantomeno accettabile candidata alla direzione del governo, in nome di una destra di governo. L’ultima prova cruciale che Meloni ha sostenuto con coerenza è stata durante il governo presieduto da Draghi, quando lei pur dall’opposizione si è schierata immediatamente a difesa dell’Ucraina aggredita. Se avesse preso un’altra posizione, Meloni non sarebbe a Palazzo Chigi, non si sarebbe potuta accreditare come una leader di destra di governo».
Anche a destra c’è un problema tra destra di governo e populisti.
«C’è una destra più matura e una destra non matura. C’è Meloni e c’è Salvini».
Che cosa manca allora a sinistra? Una o un leader riformista che dimostri allo stesso modo di poter guidare Palazzo Chigi?
«Non è che non ci sono i riformisti, manca la leadership riformista nello schieramento dell’opposizione. Ma i riformisti ci sarebbero: dentro il Pd e fuori dal Pd, sono largamente presenti in Italia, di varie impronte, di varie origini e provenienze».
Ma non sono uniti, non condividono un progetto…
«Devono essere unificati nell’idea della sinistra di governo dal Partito Democratico e invece il Pd è stato sfasciato, questo è il punto. E se non si ricostituisce, non ha futuro. Vedo benissimo che anche in Europa si fa largo una sinistra più radicale, non riformista. E le dirò che è perfino un bene che ci sia. Ma da sola non può vincere, non può riassumere l’alternativa di governo che serve. Anche la sinistra identitaria deve avere un rapporto organico con un riformismo convincente. Oggi dei riformisti non si sente praticamente più la voce: sembra quasi che si vergognino di essere tali».
Soprattutto quelli del Pd?
«Quelli del Pd e anche quelli fuori del Pd, talvolta sembra si vergognino di essere tali nel dire che il loro ruolo, il ruolo dei riformisti è quello di essere guida ed egemoni nella sinistra, altrimenti la sinistra non governerà mai, non sarà mai sinistra di governo. Non perché ci vuole presunzione da parte dei riformisti, ma perché oggi stiamo parlando in un mondo in cui c’è la gara fra Putin e Trump a chi riesce prima a destrutturare la democrazia liberale nel mondo».
Se fosse nel Pd cosa consiglierebbe di fare?
«Farei quello che loro non fanno. Direi le cose che le sto dicendo adesso: riformisti, fatevi sentire. Siate non arroganti, ma consapevoli della vostra responsabilità, del ruolo che vi compete. Se non c’è una sinistra di governo non è solo perché ci sono Schlein o Conte, ma perché voi non siete ancora, non siete stati e non siete capaci di affermare una vostra leadership. Condivido dalla prima all’ultima riga quanto ha scritto ieri il professor Andrea Graziosi».
Ci vorrebbe un congresso?
«Il congresso c’è stato alle urne. I risultati del referendum parlano chiaro, e non serve a niente provare a manipolarli».
© Riproduzione riservata