C’è una profonda distinzione politica e di contenuti quando parliamo di alleanze e di coalizioni. Distinzione, peraltro, molto semplice e persino banale da ricordare. Ci sono le alleanze che hanno una comune visione politica, culturale e programmatica che, seppur tra alti e bassi, riescono a elaborare un progetto sufficientemente condiviso al loro interno tra i vari partiti e soggetti che ne fanno parte. E poi ci sono le coalizioni che sono semplici ammucchiate o pallottolieri. Cioè sono tenute insieme da un odio viscerale contro l’avversario/nemico che, secondo la loro versione, non va solo battuto elettoralmente ma, al contrario, va annientato e distrutto a livello politico perché rappresenta il male assoluto da estirpare.

Questa, in termini molto semplici, è la differenza che segna la profonda diversità oggi tra la coalizione di centrodestra e l’alleanza di sinistra e progressista. Cioè il cosiddetto campo largo. Al punto che, quando ci sono le varie manifestazioni elettorali di carattere locale nelle città italiane, i capi dei vari partiti rossi non si presentano mai – dico mai – sullo stesso palco perché le divergenze sono insanabili e profonde. A livello politico, programmatico e soprattutto sul versante personale. Ora, se questa è la banale fotografia con cui dobbiamo fare concretamente i conti, emerge una sola domanda a cui, prima o poi, dobbiamo pur dare una risposta. Sempreché si voglia realmente rilanciare la partecipazione elettorale, ridare fiato e sostanza alla politica e, al contempo, salvaguardare il ruolo e la mission stessa dei partiti.

La vera sfida – ieri come oggi – è quella di costruire alleanze politiche e programmatiche che siano in grado di dispiegare una vera e credibile cultura di governo. E questo perché l’odio implacabile nei confronti del nemico da un lato e l’assenza di una comune visione politica (e quindi di governo) dall’altro possono produrre vittorie elettorali momentanee. Successi del tutto inadeguati, come l’esperienza ha più volte e platealmente confermato, a dare stabilità e credibilità all’intero sistema politico.

Ecco perché, anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, bisognerebbe scegliere tra la creazione di coalizioni unite solo e soltanto dalla voglia di annientare definitivamente l’interlocutore o, all’opposto, che si reggono per ricercare con pazienza e tenacia la costruzione di alleanze unite da un programma comune e funzionale a dare governi stabili e credibili. Un criterio, quest’ultimo, ispirato a una democrazia matura e adulta e, soprattutto, a quella logica dell’alternanza che dovrebbe essere l’unica stella polare di un sistema politico autorevole e scevro da pregiudiziali ideologiche e personali. Vedremo quali delle due ricette avrà il sopravvento con le inevitabili ricadute – positive o negative – che si trascinano dietro.