Don Ciotti che dice che il Ponte sullo Stretto rischia di unire due cosche. Roberto Saviano che definisce l’Italia un paese che fa paura perché abitato da squadrismo verso gli intellettuali. Cosa hanno in comune? Che entrambi dicono cose che, se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere. Ok. E poi?

Che entrambi hanno del tutto auto decretato di essere qualcosa, e rappresentare qualcuno. E che mi sembrano un tantino -sì lo so, non si scrive ‘tantino’- egocentrici. Montati, se mi è consentito. D’accordo che secondo molti l’umiltà è una malattia curabile, ci mancherebbe, ma chi ha deciso che Roberto Saviano sia un intellettuale? E perché mai? Perché declina in maniera suggestiva luoghi comuni un tanto al chilo? Un po’ poco, direi. E chi ha deciso che Don Ciotti sia un interprete delle difficoltà a realizzare qualcosa di epocale al Sud, cioè il Ponte sullo Stretto, o addirittura il certificatore del fatto che non si possa fare, tra Calabria e Sicilia, un’opera pubblica utile e iconica senza con ciò che siano le cosche mafiose a trarne beneficio? E ancora, trova sensato Don Ciotti, che in nome di un generico pericolo che peraltro offende diverse imprese oneste (ne esistono sia in Sicilia che in Calabria) i siciliani e i calabresi debbano metterci due ore tra imbarco, tragitto e sbarco anziché pochi minuti a fare tre chilometri? E alle cosche, fa bene come dice lui, o fa male – come penso io – che quella diventi un’area di maggior libera circolazione e lavoro, anzitutto quello che sarà assunto per la realizzazione di un ponte?

Perché è abbastanza evidente che la criminalità organizzata affondi più facilmente radici e fauci in zone dove c’è carenza di alternative lecite e legalitarie, cioè opportunità di lavoro. Persone deboli, magari anche culturalmente, non intravvedendo un’alternativa legale, sono più facili prede, aderiscono alla criminalità persino per necessita, anche fosse solo ritenuta. Allora, portare tonnellate di lavoro al sud, significa togliere, e non concedere, metri di campo alle organizzazioni criminali. Significa emancipare il meridione. Mi stupisce molto che il capo di un’associazione antimafia non solo non lo comprenda ma affermi il contrario; non vorrei dare retta al mio naso, che annusa un pregiudizio politico verso l’opera e verso il Ministro che la sta portando avanti, meritoriamente. E che ci sia più di qualcuno in questa nazione che a risolvere i problemi preferisca che permangano irrisolti, per poterli commentare guadagnando visibilità per sé.

Così come a Saviano, a cui io avrei pure lasciato il programma per principio di libertà, esattamente come avrei fatto con Facci, vorrei spiegare che alcune caratteristiche sono tali, solo se ritenute da altri. Sono altri che devono decretare che tu sia un intellettuale, come bello o intelligente, banalmente. Altrimenti non lo sei. Non è che ti ci proclami, e da lì in avanti decreti che puoi insultare ministri e primi ministri. Si chiama civiltà di costume, e riguarda anche le persone di carisma e capacità comunicativa. In tv poi, e spesso nella vita, esiste anche un’altra regola non scritta: tutti importantissimi, nessuno indispensabile. Ma chi vi credete di essere, ragazzi? Non siete voi il metro di civiltà di una nazione.
Dateve na regolata.

Andrea Ruggieri

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