La tutela della persona è la priorità della rubrica: nomi, luoghi e dettagli personali vengono scrupolosamente modificati in modo da garantire il più assoluto anonimato.

Sono Viviana.
Sono Viviana Cassini, presidente del centro antiviolenza Casa delle Donne, della città di Brescia.

Il mio ruolo da presidente è cominciato qualche anno fa, una volta raggiunta la pensione e finita la mia carriera professionale di insegnate. È stato mentre insegnavo che il fenomeno della violenza mi si è palesato davanti quando, in classe, lo vedevo concretamente ripercuotersi sui bambini ai quali insegnavo. Da lì è cominciato il mio impegno come parte attiva tra tutte le donne che formavano la squadra della Casa delle Donne, un’équipe, dedicata giorno e notte a salvare la vita di donne vittime di violenza.
Ciò che negli anni è stato fondamentale per lo sviluppo e supporto dei centri è stata la crescita di una consapevolezza e attenzione al fenomeno della violenza. Fondamentale al fine di riconoscere il fenomeno è stata l’introduzione della Convenzione di Istanbul, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla violenza sulle donne. Questa convenzione mette nero su bianco le linee che gli stati devono seguire per contrastare la violenza sulle donne ma, a 10 anni dall’approvazione della convenzione in Italia, quest’anno le forze politiche di Fratelli d’Italia e Lega, si sono astenute alla votazione per l’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione.
La Convenzione è uno strumento di lotta alla violenza contro le donne, astenersi e, votare contro la sua adesione, rappresenta solo un enorme passo indietro nella salvaguardia e lotta alla violenza.

Lettere sono state indirizzate sia al presidente Mattarella e alla presidente Meloni per condividere la nostra preoccupazione sul passo indietro fatto dal Governo italiano. Un passo indietro difficile da ignorare dopo gli anni passati a lavorare per formare una linea unica, a livello europeo, di allineamento per la tutela dei diritti delle donne. Le ricadute sono l’orrore che si legge oggi sui giornali, che è si frutto di un’emergenza, ma un’emergenza consolidata frutto di una società e le sue istituzioni, preoccupate a proteggere un sistema collaudato di prevaricazione dell’uomo sulla donna. Preservare questi ruoli, questa narrazione, continuando implicitamente, e talvolta esplicitamente, a porre l’attenzione sulla donna non come vittima, ma come parte con un ruolo attivo nel ciclo della violenza, delegittima il violento e rende la donna, ancora, vittima secondaria di violenza. La vittimizzazione secondaria è quella per la quale la donna finisce con l’avere una parte e delle colpe, e a doversi assumere la responsabilità di ciò che ha subito. È la donna ad essere sempre nel mirino.

Prevenire la violenza non basta, è necessario prendere posizione e cambiare la narrazione. È il sistema che deve essere curato e, per farlo, va rieducato. In questo sistema malato, la violenza non fa male solo alle donne, danneggia tutti. La violenza dilaga il male ovunque, anche nell’uomo. Perché, dopo essere vittima di violenza, è la donna a dover abbandonare la propria casa, far cambiare scuola ai figli, lasciare quella che è la sua vita, la sua quotidianità? Quello che io sogno sono pene alternative, il finalmente dare all’uomo il giusto ruolo, quello di colpevole, quello di unico responsabile, quello di colui che dovrà pagare, scontare una pena, ed essere curato. È qui che la rieducazione va messa in atto, è qui che le convenzioni vanno approvate senza indugio come punto di partenza e non di arrivo.
Vorrei che le istituzioni facessero la propria parte in questo, noi e la nostra squadra continuiamo giorno e notte a lavorare per la rivincita di tutte quelle donne che ogni giorno riceviamo e con cui lottiamo per vedere la bellezza vincere sul quel male.

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