Giulia Minoli, autrice teatrale e attivista, ha dato vita nel 2022 alla Fondazione “Una, Nessuna e Centomila”. Il suo entusiasmo nella battaglia per i diritti delle donne sta portando numerosi artisti ad impegnarsi per contrastare l’ondata di violenze di genere che continuano a imperversare.

Cosa sta succedendo nei rapporti uomo-donna?
«C’è un problema soprattutto generazionale. I ragazzi oggi non hanno la percezione della realtà. Non c’è solo un tema di social o di fruizione del porno. In particolare, c’è una emergenza educativa che riguarda i più giovani: la violenza non nasce solo dal bisogno di soddisfazione sessuale. Gli adolescenti vivono in universi chiusi. In realtà virtuali. Se guardiamo a quell’orrore della vicenda di Palermo, i protagonisti sono ragazzi che hanno avuto 17-18 anni nel periodo Covid: hanno consumato una solitudine spaventosa. Pensano che il loro ruolo si possa determinare con la forza, danneggiando l’altro. Non esiste una educazione sentimentale».

L’educazione sentimentale a cui pensa cosa dev’essere?
«L’affettività ricopre una parte essenziale nello sviluppo della persona. Consente di valorizzare le proprie risorse interne ed è fondamentale introdurre l’educazione sentimentale dalla scuola dell’infanzia, fino al primo e al secondo ciclo di istruzione. Su questo ci sono proposte di legge che non sono mai passate: serve una azione di pressione trasversale e forte».

A partire dai libri di testo?
«Si, con formazione e aggiornamento per autori e docenti. Ci sono stereotipi che marchiano i bambini sin da piccoli, e che vanno cambiati».

Bisogna educare i futuri cittadini digitali?
«Assolutamente, farli uscire dall’isolamento in cui si trovano sempre più persone, giovani e meno giovani. Non possiamo non chiederci quanta responsabilità ha una società che condiziona l’inclusione alla capacità di omologarsi. Mettiamo le nostre menti e i nostri cuori in stand-by. E si vede. Il voyerismo digitale ha una responsabilità ampia, collettiva: fa parte di un corto circuito culturale, antropologico. Se l’iconografia sostituisce la realtà, bisogna correre ai ripari».

A proposito di icone, il mondo della cultura la segue nelle sue attività?
«Anna Foglietta, Paola Cortellesi, Edoardo Leo, Massimiliano Caiazzo, Caterina Caselli, sono alcuni degli artisti che coinvolgiamo su questi temi. Sono agenti e soggetti del cambiamento che vogliamo mettere in atto. Abbiamo un piano di azioni di raccolta fondi per i centri antiviolenza, che vivono in emergenza permanente, ma sono essenziali e purtroppo poco conosciuti».

Fa parlare l’arte, ma anche i fatti. Il suo approccio al tema della violenza è pragmatico…
«I fatti sono gravi e parlano da soli. Una volta ogni tre giorni una donna viene uccisa. Siamo scivolati dal 63mo al 79mo posto per il Global gender gap per le donne. Un dato di cui si parla poco, ma molto significativo rispetto alla condizione della donna in Italia. 48,9% delle donne in Italia è disoccupato. Il 37% delle donne in Italia non ha un conto corrente intestato. Il 67% del lavoro di cura è a carico delle donne. Ma soprattutto questo lavoro di cura, con la situazione pandemica, è esploso e molte donne hanno dovuto rinunciare al lavoro. Gli asili nido sono meno del 33% del necessario, in media italiana. Se lasciamo i bambini fuori dagli asili, lasciamo le loro madri a casa. C’è un grande problema da tutti questi dati. E alla riduzione delle disuguaglianze di genere è stato destinato solo lo 0,6% del bilancio dello Stato. Una cifra ridicola, offensiva».

Dati eloquenti e allarmanti. Come sono allarmanti i femminicidi, gli stupri non accennano a diminuire. Anzi.
«La sequenza dei fatti gravissimi di questi giorni non fa che rimarcare quel gap di cui parlavamo. La fondazione “Una, nessuna e centomila” è nata nel giugno 2022 subito dopo il concerto di Fiorella Mannoia che in una sola serata ha raccolto 2 milioni di euro destinati a sette centri antiviolenza nel Sud Italia. I centri antiviolenza vivono di contributi pubblici che spesso nel Mezzogiorno sono più bassi che altrove. Il 70% delle donne che arrivano vittime di violenza nei Centri, non è indipendente economicamente».

Per questo si fa sentire, con la Fondazione?
«Ci facciamo sentire. Lella Paladino e Celeste Costantino sono tra le co-fondatrici della Fondazione insieme con me e Fiorella Mannoia. Il 26 settembre torniamo all’Arena di Verona con un altro concerto che assicurerà altri fondi per sostenere i centri antiviolenza. Anche come azione di comunicazione, passando su Rai Due il 28 settembre, sarà importante. Tutti da casa con una donazione al numero solidale potranno fare la loro parte».

Giusto ricordarlo, ognuno faccia quel che può per aiutare. E anche per far sapere che c’è chi ce la fa.
«Dovrebbe esserci una Giornata contro la violenza sulle donne tutti i giorni. E appunto: si parli delle vittime, bene, ma parliamo anche delle donne che ce la fanno. Di chi denuncia, di chi esce dalla violenza, di chi rovescia una sorte che non è mai segnata, se ci diamo una mano tutti».

Serve l’indipendenza economica, la capacità di essere autonome professionalmente, per iniziare a essere libere?
«Certo, violenza economica e violenza psicologica sono presenti in tante case e in tante famiglie. Questo è uno dei grandi drammi del nostro tempo, del quale si parla troppo poco. Colpisce il gesto violento, l’atto estremo. Bisogna invece intervenire prima che succeda il peggio, prima dei riflettori. Rendere autonome le donne, permettere loro di decidere, sempre. Di scegliere per se stesse. Prevenzione e educazione sono indispensabili. La nostra è una chiamata alle arti, non alle armi».

C’è qualcosa che la prima premier donna potrebbe fare?
«Dovrebbe prendere in considerazione la formazione digitale, l’educazione civica e quella sentimentale. Come grande battaglia di civiltà, senza più divisioni politiche. L’abbandono scolastico nel Mezzogiorno è prodromico a situazioni di violenza. Dobbiamo fare una grande alleanza tra donne: il Pnrr prevede fondi per le zone disagiate, vanno messi sul piatto adesso. C’è un miliardo e mezzo contro la dispersione scolastica, il ministero dovrebbe poter contare sul supporto del Terzo Settore per arrivare dove lo Stato non arriva. Noi come fondazione esistiamo per questo: facilitare la connessione tra mondi che non si parlano. Le aziende, la cultura, la scuola e la moda: le donne hanno bisogno di più opportunità, più lavoro e meno promesse».

Aldo Torchiaro

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