Posta della Prevenzione
La reperibilità
Cosa significa essere al fianco delle donne h24: le case rifugio e quella mamma che non denunciò per non far cambiare vita ai figli
Questa è la rubrica della Posta della Prevenzione, nata per dare una voce a chiunque voglia condividere esperienze di discriminazione, violenza e rinascita. Questo è il luogo dove tutte quelle storie troppo dolorose per essere raccontate ad alta voce, trovano uno spazio sicuro e protetto dal più assoluto anonimato. Vogliamo leggere la vostra storia, qualunque essa sia, dandole lo spazio che merita di occupare. Scriveteci a:
postaprevenzione@gmail.com
Sono Ludovica.
Prima di diventare un’operatrice h24 di questo lavoro non conoscevo bene nemmeno l’esistenza, di certo mai avrei pensato di diventarne una.
Il giorno in cui il ruolo mi è stato proposto, ho immediatamente esposto i miei dubbi sul sentirmi in grado di ricoprire questa figura; la risposta che ho ricevuto è stata: “Nessuno è mai pronto, ma qualcuno deve pur esserlo”. E così, è cominciato quello che è stato un anno in modalità ventiquattro ore su ventiquattro.
Essere un’operatrice h24 significa essere reperibile giorno e notte sul territorio della provincia in cui si opera. Quando un’operatrice riceve una segnalazione, la chiamata può arrivare dal pronto soccorso o dai carabinieri e, dopo quella telefonata, tutto si mette in moto velocemente. Lì, entro in gioco io: l’aspetto essenziale è la prontezza della mia capacità di analisi, quella che determinerà il risultato dell’intervento.
La parte più complessa del mio lavoro è quella di riuscire, in un tempo molto limitato, a capire e leggere la persona alla quale mi trovo di fronte. La donna, che mi aspetta seduta in una qualche sala di attesa ha, in questi casi, solitamente subìto una violenza. Provare a guardarla negli occhi e chiederle di parlare con me, una perfetta sconosciuta, ha sempre un che di innaturale, come se, a mia volta stessi contribuendo a violarla di un dolore indicibile. Cominciare ad instaurare un dialogo è il passo più difficile per lei, e per me.
Siamo lì sedute una di fronte all’altra ed io, senza darlo a vedere, mi devo svestire di ogni emotività e indossare l’abito obbiettivo che il ruolo richiede; sono lì per raccogliere tutte le informazioni necessarie ad inquadrare la situazione, determinarne la gravità, effettuare ciò che definiamo la ‘valutazione del rischio ’.
Con valutazione del rischio si intende la fascia di rischio nella quale la persona, dopo essere stata vittima di violenza, si trova. La fascia di rischio è ciò che un’operatrice h24 deve stabilire, si determina di caso in caso in base alle dinamiche di violenza che la vittima ha subito, la sua attuale situazione di vita, il domicilio, ed è ciò che va a identificare le soluzioni da mettere in campo per salvaguardare la sicurezza della persona.
Quando una donna è vittima di violenza ciò che è necessario fornire è, come prima cosa, un posto sicuro dove stare: è fondamentale che la persona venga sottratta alla dinamica di violenza in cui si trova. Le case rifugio sono il luogo in cui, nella maggior parte dei casi, io e la vittima, in base al suo consenso, ci rechiamo assieme dopo il mio intervento.
Purtroppo, non sempre la mia presenza riesce a fare alcun tipo di differenza. Ricordo di quella donna che nonostante minacciata di morte anche in presenza dei carabinieri, ha deciso di non denunciare, ed è tornata a casa. Non voleva che i suoi bambini dovessero spostarsi con lei in una casa rifugio, non voleva che al lavoro sapessero il motivo della sua assenza, e non credeva che denunciare avrebbe impedito a quell’uomo di sbatterle ancora e ancora la testa contro ad una panchina in un luogo pubblico.
L’ho vista uscire dall’ospedale e tornare a casa.
Credo che la mia paura più grande sia scoprire, un giorno, che se avessi detto una frase, parola in più, se solo fossi stata più convincente, rassicurante, avrei potuto evitare l’ennesima tragedia.
Penso poi però all’onore che ho ad essere lì, dopo quella chiamata, in quella stanza, ad ascoltare tutte quelle storie, spesso mai raccontate, sigillate nei muri di una casa, di tutte quelle voci che piano mi sussurrano le loro storie e penso, a tutte quelle donne che ora, in un centro antiviolenza, si sono riprese la vita.
In ogni città, provincia c’è un operatore che, come me, è pronto a ricevere quella chiamata. Per quanto difficile, ogni vittima che si reca in un pronto soccorso o dai carabinieri, compie il primo passo per uscire da quel ciclo di violenza. Con quella telefonata, le possibilità che si aprono non sono solo di accoglienza in una casa rifugio, ci sono assistenti sociali, avvocati, psicologhe volontarie, che in ogni centro antiviolenza offrono servizi completamente gratuiti e, ci sono operatrici che, come me, anche se non sempre si sentono pronte, lo saranno per loro h24.
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