La violenza sulle donne è un dramma sociale di cui la politica si sta occupando, anche attraverso un nuovo disegno di legge sul quale tutte le forze parlamentari dovrebbero essere d’accordo. Ne abbiamo parlato con il ministro per le pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella.

Cosa ha fatto finora contro la violenza sulle donne e cosa farà?
«Non abbiamo aspettato il ‘caso eclatante’ per occuparci di violenza contro le donne. Lo abbiamo fatto fin da subito. Abbiamo aumentato i fondi per i centri anti-violenza e le case rifugio, mantenendo anche le misure di sostegno economico per le vittime, perché su questo tema la condivisione e la trasversalità sono fondamentali. Abbiamo ampliato la diffusione del numero verde 1522 e vogliamo continuare a farlo. Soprattutto, abbiamo elaborato una proposta di legge che tiene conto anche del confronto con chi ogni giorno combatte sul campo, e che adesso il Parlamento dovrà discutere e spero approvare rapidamente».

Può spiegarci il provvedimento già incardinato dal governo?
«La nostra legge punta sulla prevenzione, per spezzare il ciclo della violenza prima dell’irreparabile. Rafforzamento delle misure cautelari, dalla più leggera come l’ammonimento, al braccialetto elettronico, dalla distanza minima di avvicinamento all’arresto in flagranza differita. Specializzazione dei magistrati sul campo. Soprattutto, l’aspetto più innovativo che davvero potrà salvare vite è la previsione di tempi certi e stringenti per la valutazione del rischio da parte delle procure. Perché la tempestività in questi casi è davvero tutto».

Si sarebbe mai immaginata di essere alleata con Rocco Siffredi e averlo testimonial di una sua battaglia? C’è chi l’ha contestata per questo, per via del curriculum di questo strano compagno di lotta, eppure anche don Praticello lo ha invitato a Caivano.
«La mia battaglia riguarda l’accesso dei minori alla pornografia; Rocco Siffredi ha detto semplicemente di essere d’accordo sull’esigenza di un maggiore controllo. Non era scontato che un rappresentante di quel mondo si esponesse a sostegno di questa tesi, e in realtà non me lo aspettavo. Ci sono state delle critiche ma io ho una formazione laica e non mi interessa fare esami di purezza etica o ideologica, e tantomeno esistenziale, alle persone. Ognuno compie le sue libere scelte di vita. Io faccio politica, mi interessa che una battaglia che ritengo giusta si affermi, e se c’è qualcuno che aderisce, ben venga».

A seguito dei fatti di cronaca di questi giorni si torna parlare di una nuova legge contro il femminicidio, lei è però è l’unica nella maggioranza che ha detto che bisogna prima partire dalla prevenzione e poi dalla repressione. Come mai?
«In realtà la proposta di legge del governo è stata ampiamente condivisa in Consiglio dei ministri, e insieme alla mia porta le firme dei colleghi Nordio e Piantedosi. Le misure repressive ci sono già, quello su cui bisogna agire sono le misure preventive e soprattutto, come abbiamo detto, la tempistica della loro applicazione L’Italia è stata condannata diverse volte in sede europea per questo motivo. Il termine di trenta giorni fissato dalla legge è davvero innovativo e può essere molto efficace».

Come mai ha messo in correlazione la pornografia che gira fra i minori e la violenza?
«La prima correlazione l’ha fatta una sentenza, che non condivido affatto, che ha assolto dei ragazzi per uno stupro di gruppo perché condizionati da un’idea pornografica del sesso. In ogni caso, il problema se lo stanno ponendo in tanti Paesi, tra cui la Francia. C’è un problema educativo, un’età di primo accesso che si abbassa sempre di più. La media secondo gli esperti oggi è di sette anni. Ai nostri ragazzi ci preoccupiamo di dare buon cibo, buone scuole, buone letture. Sul piano affettivo e sessuale possiamo ammettere che la prima fonte sia il porno, dove il consenso delle donne non esiste o viene dato per scontato anche di fronte alle pratiche più estreme, violente e umilianti?».

Da tutte le parti vengono chieste misure cautelari più rigide, come si concilia la tutela di presunte vittime con i diritti di presunti innocenti?
«Nel caso della legge contro la violenza sulle donne non si tratta di misure cautelari come pena preventiva, ma di strumenti efficaci per allontanare l’uomo violento dalla donna che ne è vittima, e che spesso ha con lui rapporti di contiguità o addirittura di convivenza. Non si tratta di comprimere diritti ma di investire i magistrati della responsabilità di una rapida valutazione del rischio per proteggere la vittima. Perché questo può fare la differenza tra la vita e la morte».

C’è il rischio di minacce e vendetta privata?
«In questo campo non ci sono particolari evidenze di vendetta privata. La quale, in ogni caso, si ferma con una giustizia tempestiva e certa ed evitando sentenze talvolta davvero assurde…».

I numeri sul femminicidio ci dicono che negli ultimi anni siamo passati da 150 vittime l’anno nel 2014, ai 77 dello scorso anno e 71 attuali. Significa che le politiche messe in atto finora hanno funzionato? Perché anche se calano si continua a parlare di emergenza?
«Eventuali lievi flessioni dei numeri possono essere un buon segnale ma non cambiano la realtà in cui ci troviamo: in media muore per femminicidio una donna ogni tre giorni. E questo, in un Paese nel quale il numero degli omicidi in generale cala invece sensibilmente, rende il problema ancor più evidente e drammatico».

Lei in una delle presentazioni del suo libro, sulla storia dell’abbandono dei suoi genitori che vennero a riprenderla quando aveva sei anni, ha detto «giustamente avevano altro da fare». Cosa dice a quelle coppie che per scelta decidono di non avere figli?
«Io penso che la genitorialità debba essere una libera scelta. Noi non vogliamo costringere le persone a fare figli; vogliamo però che se li desiderano siano liberi di metterli al mondo senza che questa scelta sia vissuta come un ostacolo alla realizzazione professionale e anche alla vita sociale. Anche questo è un problema di libertà: desiderare un figlio e rinunciarci perché l’organizzazione sociale e lavorativa non è accogliente. Sostenere la natalità vuol dire questo: lavorare perché tutti siano liberi di compiere le proprie scelte».

Si torna a parlare di libri e censura, lei è stata vittima di una contestazione al salone del libro di Torino. Che ne pensa della cancel culture e della messa al bando di alcuni scritti?
«Io penso che i libri non debbano mai essere censurati. Ho molto apprezzato le parole del presidente Mattarella dopo che al Salone del libro mi è stato impedito di presentare il mio. Con la cancel culture si arriva alla dispersione della nostra storia e alla demolizione della tradizione. Una deriva inquietante».