«Uno dei miti su cui si basa il nostro sistema democratico è quello della funzione dell’informazione. Si dice che il popolo abbia diritto di essere informato, di sapere come vengono gestite in suo nome Repubblica e leggi; che l’opinione pubblica sulla base delle informazioni così raccolte esercita il controllo sui pubblici poteri. Consentitemi di contestare questa “favola”». Gli avversari dello pseudo “bavaglio Costa” rimarranno delusi nell’apprendere che non si evoca un italico fan dei regimi dittatoriali sudamericani o cinopopolari. No, a parlare così è un avvocato penalista, di quelli che furono professionalmente e culturalmente molto vicini al mondo dei giornalisti e dell’informazione. Per Corso Bovio (cito una sua relazione a uno storico convegno UCPI del 1987, sul maxiprocesso di Palermo), nell’epoca delle comunicazioni di massa, quello attraverso cui si formano i convincimenti del pubblico è un meccanismo emozionale e non razionale.

E poiché il processo penale si occupa di fenomeni «che creano profondo allarme sociale» e viene quasi sempre rappresentato «come un momento della lotta al terrorismo, alla mafia e alla camorra, o all’evasione fiscale, o alla criminalità organizzata (come amano etichettare, attraverso i cronisti, la loro attività i nostri magistrati)», l’opinione pubblica non ha «alcuna possibilità di farsi un’idea sull’adeguatezza» di quello strumento. Anzi, lo riterrà sempre «proporzionato». Del resto, davanti al «male» l’opinione pubblica non potrà che essere «colpevolist[a], dalla parte dello Stato, anzi del magistrato, che come [un] gladiatore scende nell’arena».
È elusa, quindi, «la possibilità di controllo sociale (inteso come verifica da parte dell’opinione pubblica della correttezza e della razionalità dell’operato dei pubblici poteri)».

La relazione di Bovio è ricca di altre suggestioni e sorprende per la capacità di cogliere in anticipo aspetti che, ormai divenuti endemici, i corifei della pubblicazione integrale delle ordinanze cautelari fingono di ignorare o rimuovono dai loro ragionamenti. Ad esempio, già allora registrava che «la cronaca giudiziaria si è andata “spostando all’indietro”. Rispetto a [quella] del dibattimento (un tempo molto più rilevante) è andata prendendo il sopravvento la cronaca giudiziaria dell’istruttoria». Ciò in stretta correlazione «con il progressivo dissolvimento del segreto istruttorio, che non può esser certo attribuito agli avvocati ma è tra le responsabilità prime dei magistrati (per non dire del loro protagonismo)».
Sul punto, Bovio spende la sua esperienza personale: «per motivi professionali ho difeso decine e decine di giornalisti. E quando ho chiesto loro le fonti di informazione sulle inchieste mi son sempre sentito rispondere “me l’ha detto la polizia, me l’ha detto il magistrato, me l’ha detto l’inquirente”». Nel campo dell’informazione giudiziaria, si registra «un dato oggettivo, e cioè che l’operatore dell’informazione è portato naturalmente a considerare molto più credibile il magistrato rispetto all’avvocato», il che «altera il gioco delle parti» .

Del resto il difensore «non ha nemmeno quel carisma, quell’immagine di tutore dell’ordine che il magistrato e il poliziotto hanno e che pesa in modo determinante sull’informazione, sulla recezione da parte del giornalista dell’informazione, sulla sua prospettazione al pubblico». Cruda, ma quanto mai vera, la constatazione che quel «carisma informativo peserà poi in modo determinante anche nella fase dibattimentale. L’obliterazione del difensore nel dibattimento, l’obliterazione degli argomenti della difesa, sarà un elemento ormai ineluttabile, un processo irreversibile» .
Premesso che neanche dopo il 2017, la prassi ha offerto frequenti casi di pubblicazione integrale delle ordinanze cautelari, che per ragioni di spazio la stampa giocoforza diffonde con estratti arbitrari del giornalista (né il web pullula di versioni gip di Delitto e castigo), l’emendamento Costa meriterebbe di essere valutato in una ben più ampia cornice: perché la cronaca giudiziaria coincide oramai con la cronaca delle indagini preliminari e i giornalisti non frequentano i luoghi del contraddittorio?

Perché i provvedimenti favorevoli all’indagato/imputato non ricevono analogo trattamento, in termini di spazi e contenuti, rispetto a quelli sfavorevoli? Quanto è radicato nell’opinione pubblica e tra gli operatori dell’informazione il principio costituzionale della presunzione d’innocenza? Quante volte i media si prodigano in critiche dei provvedimenti cautelari, dimostrando di praticare effettivamente quel controllo sull’esercizio del potere giudiziario che oggi rivendicano con fariseismo esasperato? Si può ignorare la trasformazione del nostro processo penale accusatorio in un nuovo sistema misto mediatico-giudiziario? Si può tacere il vizio di non pochi inquirenti di assicurarsi legittimazioni esterne alle proprie indagini, funzionali a preparare l’opinione pubblica alla condanna (salvo lasciarla disorientata di fronte a possibili assoluzioni)?
Le domande potrebbero continuare, ma chiudiamo ancora con Bovio: «quando vi trovate di fronte a una notizia, vi dovete chiedere per prima cosa a favore di quale soggetto va quell’informazione».

Lorenzo Zilletti - avvocato penalista

Autore