Curiose concomitanze alle Nazioni Unite: da un lato l’Assemblea Generale che, anche con il voto favorevole dell’Italia, emette contro Israele l’ennesima risoluzione che nemmeno per sogno intima a Hamas di cedere le armi; dall’altro, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che, in uno sbalorditivo soprassalto di attenzione, denuncia il mancato rispetto iraniano degli obblighi convenzionali di non-proliferazione. Il tutto, mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu si fa buca delle lettere dell’Iran, affannato a reclamarne la convocazione d’urgenza dopo gli attacchi israeliani dell’altra notte.

Si potrebbe pensare a un meritevole complesso di composizione umanitaria che tiene buone le contrapposte istanze e fa quel che può per risolverle con una raggiera equanime di provvedimenti reciprocamente equilibrati. Se pure fosse così, non si tratterebbe del lavoro di autorità affidabili: perché non si dorme sulle emergenze nella speranza che la nottata passi. Ma non è neppure così, perché non si affronta la crisi scatenata dalla piovra iraniana vellicandone per venti mesi il tentacolo che ha lambito Gaza. L’ultima risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu prosegue quell’opera di formale sostegno delle ragioni della pace tramite il sostanziale accarezzamento di Hamas, un’organizzazione genocidiaria trattata tutt’al più come il discolo che ci si riserva di condurre a ragione ma senza troppa energia, perché magari se ne ha a male.

Il tratto distintivo di queste politiche, tanto più appariscente nei momenti di svolta come l’attuale, sta nel frusto quanto puntuale proclama anti-escalation. Ed è il segno più desolante dell’inaderenza della cosiddetta comunità internazionale, per la quale “fermare l’escalation” è una specie di missione finalistica. Ma il problema è che non dovrebbe essere quello il fine. Fermare l’escalation non è di per sé la soluzione di nulla, e ha semmai un senso se è un mezzo per ottenere un miglioramento della situazione. Altrimenti a fare escalation è altro, è l’arricchimento dell’uranio ed è l’ambizione di Hamas di governare ancora la Striscia.

Le politiche onusiane articolate sistematicamente sul pilastro diffamatorio dell’addebito genocidiario e basate immancabilmente sul fondamento marcio dell’accusa anti-colonialista non hanno protetto la popolazione palestinese: l’hanno affidata a quelli che facevano le mostre di prenderne la difesa utilizzando la stessa retorica, e proprio mentre di quella popolazione facevano massa da martirio.
E importa poco valutare se le risoluzioni dell’Onu intervenute a grappoli da venti mesi a questa parte avessero l’intenzione di riconsegnare Gaza a chi l’ha ridotta alla più imponente centrale terroristica del mondo. Sicuramente avrebbero avuto questo effetto se fosse stato per i tanti che vi si sono affidati sottoscrivendone ciecamente le presunte ragioni.