La minaccia iraniana è tornata. Questa mattina, mentre eravamo già in Israele, a Tel Aviv, come delegazione europea di giornalisti e attivisti LGBT, è arrivata la notizia dell’attacco militare a sorpresa contro siti strategici iraniani.

Siamo arrivati il 9 giugno come delegazione europea per incontrare le realtà che ogni giorno si battono per i diritti LGBT. Nonostante l’annuncio dell’attacco contro l’Iran, siamo al sicuro: il Ministero degli Esteri israeliano – che ringraziamo – ci fornisce assistenza completa, dai farmaci per chi ne ha bisogno all’ospitalità in albergo, pasti e aggiornamenti costanti. Siamo sereni, in contatto continuo con le autorità, e pronti a ripartire quando sarà ritenuto opportuno. Prima di tutto, la sicurezza.

In questo clima, il Tel Aviv Pride 2025 previsto per ieri, 13 giugno, è stato ovviamente cancellato per ragioni di sicurezza. Nei giorni scorsi abbiamo però visitato tre centri essenziali per l’inclusione: l’Open House LGBT di Gerusalemme, in una città segnata da fede e contrasti; il centro LGBT di Be’er Sheva, nel Negev; e quello di Tel Aviv, cuore pulsante dell’attivismo israeliano. Israele resta l’unico Paese del Medio Oriente in cui le persone LGBT possono vivere apertamente e godere di diritti e spazi pubblici. Anche sotto pressione, questa democrazia dimostra ogni giorno la sua forza nel garantire libertà fondamentali.

Il viaggio ci ha portati anche in territori segnati dalla tragedia: al sito del massacro del 7 ottobre, il festival Supernova vicino al kibbutz Re’im, quando militanti di Hamas hanno colpito una folla di giovani che ballavano, uccidendo 364 persone e prendendo decine di ostaggi. È proprio li abbiamo incontrato e ascoltato la giovane Chen Malka, scampata al massacro, che ci ha affidato un racconto toccante, difficile da dimenticare.

Nessuna giustificazione può tener conto della brutalità commessa: Hamas non è un movimento politico, è un’organizzazione terroristica, e Israele ha il dovere di difendere i propri cittadini. Nel silenzio di una Tel Aviv senza Pride, l’orgoglio non si spegne: si esprime ogni giorno nella dignità, nella solidarietà, nella presenza attiva di chi rifiuta la paura. Per questo è importante denunciare il pregiudizio all’interno del movimento LGBT internazionale. Nel 2022 l’ILGA World ha sospeso l’associazione israeliana Aguda, non per violazioni di diritti, ma solo perché rappresenta una democrazia che combatte per esistere: un atto ideologico che tradisce lo spirito dell’inclusione.

Accusare Israele di “pinkwashing” è del resto una mistificazione. Qui non si fa marketing: si salvano vite. I centri d’ascolto, i rifugi per giovani LGBT e i volontari che li animano esistono davvero. In nessun Paese arabo esiste nulla di simile. A Gaza, essere omosessuali significa essere torturati, perseguitati, impiccati. Chi accusa Israele ignorando i crimini di Hamas e accetta l’antisemitismo mascherato da antisionismo diventa complice di un odio strutturale. Difendere Israele significa difendere la libertà—anche la nostra.

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