Questo romanzo di Michele Masneri, “Paradiso” (Adelphi), piacerà di sicuro ai cultori di romanzi leggeri con un sottofondo impegnato, a quei lettori che all’incirca hanno due bussole: la prima è una certa verosimiglianza con la realtà; la seconda è l’accumulo estroso di trame e personaggi. Quando uno scrittore ha le capacità tecniche di mescolare i due ingredienti aggiungendovi una spruzzata di umorismo e un ostentato spiegamento di cognizioni, il gioco è fatto, successo assicurato e va bene così.

Masneri, giornalista di gran talento che scrive bellissimi pezzi sul Foglio, butta in questo romanzo una quantità enorme di materiale grezzo reperito nelle cantine della commedia all’italiana, da Gassman su su fino a Verdone, Virzì, Sorrentino, persino Muccino, con tocchi alla Alessandro Piperno prima maniera, insomma uno sgargiante catalogo di luoghi narrativi – non diremo luoghi comuni –, piccoli quadri ad un’esposizione non banali ma come già visti. Ecco dunque Federico Desideri, giornalista sfigato come di questi tempi ce ne sono tanti, che viene “inviato” dalla sua rivistina fighetta da Milano a Roma per intervistare un premio Oscar, Mario Maresca, che in realtà è un poveraccio, una sòla, come si dice a Roma (quanto alla credibilità di un regista premio Oscar che risulta essere un cialtrone lasciamo al lettore giudicare). Non riuscirà nell’impresa ma si troverà in un posto magico, il Paradiso appunto, sul litorale a due passi da Roma (e sul realismo di un «bagno delizioso» nel fangoso Tirreno subito fuori dalla Capitale anche qui lasciamo giudicare il lettore).

In questo posto si trova una fantasmagoria di personaggi tra “Il Sorpasso” e “La grande bellezza”, alcuni ben descritti altri, diciamo così, meno, mentre lo stralunato Federico si aggira tra le casette del “Paradiso” come i personaggi dell’”Angelo sterminatore” che, pur volendolo, non riescono a lasciare l’appartamento. È chiaro che Masneri sa un sacco di cose sul mondo di oggi, lo possiede, lo tritura e forse vuole rifuggirne tuffandosi in una Roma che dalla Dolce vita in fondo non è cambiata mai, il che è in parte vero: la nobiltà “nera”, i sottosegretari, la Rai («a Roma si parla soprattutto di scopate, e di Rai, o di scopate alla Rai»), i falliti, gli arricchiti, i cialtroni, tutti ignoranti, pingui, sbevazzatori di alcool e affamati di spaghetti alle vongole con donne sfatte e un tantino inverosimili, storie da rotocalco anni Sessanta, alla fine un tocco da romanzo giallo con il rischio, per fortuna evitato, di cadere nel classico “siamo tutti potenziali assassini”. La cialtronaggine di ieri si aggiorna con qualche schizzo in stile Dagospia nel mischione di flussi di coscienza di scarso livello ma tant’è: Bruno Cortona è vivo e lotta insieme a noi, solo che è diventato più cafone.