Letture
Il libro-inchiesta
La controstoria dell’errore giudiziario sui “mostri di Ponticelli”, l’indagine che scagiona i tre condannati a 32 anni di carcere
«Sembravano due manichini buttati in mezzo all’erbaccia. È così che il 3 luglio del 1983 vengono ritrovate le piccole Barbara Sellini, 7 anni, e Nunzia Munizzi, 10 anni. Un corpicino sopra l’altro, completamente carbonizzati i vestitini cerati. Erano scomparse dalla sera prima, e nessuno immaginava che le avrebbero ritrovate in quelle condizioni, irriconoscibili. Cercate ovunque, erano a poche centinaia di metri da casa». Questa è una storia vera e terribile. Secondo questo documentato libro, si tratta di un clamoroso errore giudiziario. Una storia orribile nella quale “si deve” trovare il colpevole di un barbaro omicidio di due ragazzine.
Gli inquirenti hanno fretta di chiudere il caso, serve un colpevole qualunque. E tre giovani si beccano l’ergastolo ma erano innocenti. Non è un romanzo ma lo sembra, questo libro scritto da Giulio Golia e Francesca Di Stefano, cronisti de Le Iene, “I mostri di Ponticelli” (Piemme), bravissimi nel raccontare la “loro” contro-indagine che scagiona i tre “colpevoli”, Giuseppe La Rocca, Cito Imperante e Luigi Schiavo, che si sono fatti trentadue anni di carcere malgrado le richieste di revisione del processo, sempre bocciate. I tre sono poi usciti nel 2010 e ora vivono vicino Spoleto, non lontano dalla casa circondariale in cui erano stati reclusi. In questi anni due investigatori, Giacomo Morandi e la criminologa Luisa D’Aniello, hanno rivisto tutti i documenti giungendo alla conclusione che l’inchiesta fu eseguita con metodi violenti, sopraffazioni, intimidazioni, irregolarità: e siamo nel 1983, non nell’Ottocento o sotto il fascismo.
I fatti non quadrano. A massacrare Barbara e Nunzia nel quartiere napoletano di Ponticelli, che all’epoca era meno degradato di oggi, fu qualche balordo e maniaco: non quei tre. «Abbiamo passato mesi a studiare tutte le carte, a leggere centinaia di verbali di interrogatorio, a parlare con decine di testimoni, con diversi investigatori e con il magistrato che chiuse le indagini – scrivono gli autori – abbiamo rintracciato compagni di cella e collaboratori di giustizia dell’epoca. Abbiamo affrontato il principale accusatore della loro colpevolezza, con una domanda di fondo che ci ha accompagnato per tutta la nostra inchiesta: com’era possibile che tre ragazzi perbene, lavoratori, onesti, avessero potuto compiere un delitto così atroce? Forse, semplicemente non erano stati loro. L’idea che ci siamo fatti è che, tra dolo e superficialità, 40 anni fa sia stata tolta la libertà e distrutta la vita di tre uomini, che oggi, ormai fuori dal carcere dopo aver scontato tutto quello che gli era stato imputato, continuano a combattere per far emergere la verità».
Gli autori del libro pensano di aver capito tutto ma sta agli inquirenti incaricati di nuove indagini scrivere una parola conclusiva giusta di questa storia ignobile. Una storia che i tre ex ragazzi, oggi sessantenni, a cui è stata rubata la vita, raccontano per filo e per segno. A partire da come furono trattati durante gli interrogatori (e non solo loro ma anche i testimoni a discarico), con tanto di nomi e cognomi dei responsabili di quelle torture. Il giudice istruttore Arcibaldo Miller aveva fretta. A un certo punto emerge anche il ruolo della camorra – siamo negli anni della furiosa lotta tra la Nuova camorra e la Nuova famiglia organizzata – e una serie di figure più che losche. Annota nella prefazione Roberto Saviano: «Leggendo questo libro vi renderete conto di essere totalmente immersi in una tragedia, una tragedia della classicità. Non c’è luce. Non c’è speranza. Non c’è aiuto, se non quello che arriva da sofferenti». I corpicini bruciati di Barbara e Nunzia ardono ancora per la mancanza di verità.
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