Era il 2 marzo del 2017. Il Fatto Quotidiano uscì con una prima pagina disegnata in modo speciale, per avere un titolo di apertura, in testata, molto più vistoso di tutti i suoi titoli abituali. Lo trascrivo: “Arrestato Romeo” (tutte maiuscole e in rosso), “Tangente Consip e 30 mila euro al mese promessi a babbo Renzi”. Ad accompagnare il titolo una foto di Tiziano Renzi, una foto di Romeo e la fotocopia di un foglietto (gentilmente fornito ai giornalisti del “Fatto” dai Pm, seppure in modo non previsto dalle leggi dello Stato). Poi le prime quattro pagine del giornale interamente dedicate alla vicenda, considerata evidentemente clamorosa.

In prima pagina c’è anche un titoletto “amichevole” riservato al ritratto di Romeo (“L’ex Pci di Napoli che paga i partiti e frequenta le celle”). E sempre in prima l’editoriale di Travaglio il quale rivendica al suo giornale il merito di avere anticipato tutto di due mesi, critica i “giornaloni” che non hanno seguito prontamente il Fatto, ribadisce un concetto da sempre coccolato (“gli unici giornalisti veri siamo noi del Fatto, perché siamo i soli a dare le notizie”) e infine spiega che gli investigatori hanno scoperto “i traffici dell’imprenditore Romeo per agguantare la fetta più grossa di una mega commessa Consip da 2,7 miliardi di euro”.

Nei giorni, nei mesi e negli anni successivi, il Fatto Quotidiano riserverà alla vicenda Consip – sempre mantenendo come stella polare la colpevolezza di Romeo – più o meno – calcolo a spanne – un centinaio di pagine. Sempre con titoli clamorosi. Avrebbero potuto anche diventare 102, le pagine, se Travaglio avesse deciso di pubblicare l’intervista che Marco Lillo fece allo stesso Romeo, un po’ più di un anno fa; ma Travaglio ebbe l’impressione che da quella intervista Romeo uscisse bene e non la pubblicò. I giornalisti veri, pare, fanno così: pubblicano tutto tranne le notizie o le informazioni che non gli piacciono. E su questa base impartiscono lezioni un po’ a tutti.

E così arriviamo a lunedì. Il tribunale di Roma ha stabilito che non era vero niente. Quell’asta da 2 miliardi e 700 milioni non fu truccata. Travaglio aveva scritto una balla, forse influenzato da un drappello di pubblici ministeri che avevano a loro volta preso un abbaglio, e avevano trascinato Romeo in prigione, quindici giorni in isolamento, solo in cella, senza tv, radio, libri, giornali – solo a guardare il muro – e poi altri sei mesi in cella coi compagni di prigione, e poi altri mesi ai domiciliari nella casa di campagna della madre, che morì pochi mesi dopo la fine della carcerazione del figlio. Senza contare i danni per le aziende che si calcolano in svariate centinaia di milioni. Di fronte a questa spaventosa frana della giustizia e del giornalismo, Marco Travaglio ha preferito chiudere un occhio. Voi, immagino, malevolmente penserete che il Fatto Quotidiano abbia offerto ai lettori la notizia in prima pagina, sull’assoluzione.

Sbagliate, amici: il Fatto ha dato la notizia solo a pagina 11 con il titolino più piccolo che si possa immaginare. È inutile che vi mettiate a ridere perché il Fatto ha compiuto esattamente la stessa scelta che hanno compiuto tutti quelli che di solito Travaglio chiama “i giornaloni”. Anche il Fatto è tra i “giornaloni”, stavolta, gli stessi che – tutti, senza esclusione alcuna – diedero la notizia dell’arresto di Romeo con titoloni a tutta pagina, in apertura, in prima. Repubblica? “Corruzione ad altissimo livello”. Questo era il titolo che campeggiava sotto la testata. E foto di Romeo. Editoriale di Repubblica? “I nuovi pilastri del malaffare”. Il Corriere della Sera, sempre in prima, grande titolo in testata e articolo del re dei giornalisti giudiziari, Giovanni Bianconi:Così Romeo arrivò ai politici”.

Il nome di Romeo in quei giorni balzò all’attenzione di tutti gli italiani che non lo conoscevano. I Tg inondarono l’opinione pubblica. Dubbi sulla colpevolezza? Zero. Se uno è il nuovo pilastro del malaffare che dubbi vuoi avere? E se poi è un ex Pci pure meglio, no? Dicevi Romeo e intendevi l’imbroglione. Oggi però i cittadini italiani non sono stati informati che tutto quello che fu loro raccontato era falso. È stato dichiarato il silenzio stampa. Silenzio assoluto. Voi pensate che questa sia una cosa normale? Io no. Io penso che gran parte dei giornalisti italiani sia costituita da farabutti. E che il sistema informativo italiano sia uno dei peggiori – probabilmente il peggiore – del mondo occidentale.

 

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.