Il fronte siriano e iracheno si surriscaldano, secondo Syrian Human Rights Watch, venerdì notte gli Stati Uniti hanno preso di mira basi militari e un carico di armi di proxi della Repubblica islamica iraniana nella città di Al-Bukamal e nei suoi dintorni, vicino al confine tra Siria e Iraq in risposta ad una serie di massicci attacchi contro le basi statunitensi. In questi attacchi sono rimasti uccisi circa 20 miliziani appartenenti alle Guardie rivoluzionarie iraniana (IRGC).Questi sviluppi indicano che vi è l’elevato rischio di una grande conflagrazione, soprattutto dopo l’assassinio di Seyyed Razi Mousavi, il comandante dei Guardiani della rivoluzione in Siria, colpito da tre missili israeliani nel giorno di Natale mentre tornava a casa da un incontro presso l’ambasciata iraniana a Damasco.

I continui attacchi di Hezbollah contro le città israeliane lungo il confine con il Libano hanno costretto decine di migliaia di residenti ad abbandonare le loro case ora distrutte assieme a diverse infrastrutture e a stare lontani dalle famose sorgenti termali di Hamat Gader. Al funerale di Mousavi a Damasco hanno partecipato funzionari di Hezbollah e della Jihad islamica palestinese. Mercoledì, i membri delle Unità di mobilitazione popolare irachene (PMU), fazione ombrello dei paramilitari in Iraq sostenuti dall’Iran, hanno celebrato anche loro la morte del comandante pasdaran nella città santa sciita di Najaf, in Iraq, intonando lo slogan “Morte all’America nemica di Dio e grande Satana, morte a Israele!”.

Mentre tutti parlano di un’escalation al confine libanese, in realtà è il confine siriano a preoccupare maggiormente Israele a causa del numero di proxy dell’Iran coinvolti in Siria. L’ultimo scontro diretto tra Siria e Israele risale al 1973 durante la quarta guerra arabo-israeliana.Lì ora vi sono i russi, numerosi gruppi sostenuti dall’Iran, le unità delle forze speciali iraniane Quds, un vero e proprio esercito armato fino ai denti, e lo stesso esercito siriano.

Gli Stati Uniti e il rischio di regionalizzazione del conflitto

Gli Usa sono al lavoro per disinnescare l’eventualità di una escalation che è sempre dietro l’angolo in quello scenario regionale. Nei recenti colloqui al Cairo le cosiddette “forze della resistenza” hanno ribadito che non vi sarà alcun accordo sugli ostaggi senza un cessate il fuoco globale e che lo scambio avrebbe dovuto includere tutti i palestinesi in prigione. Questo atteggiamento conferma che la spina dorsale del comitato di resistenza non è ancora stata spezzata e che l’ordine di comando del gruppo palestinese che controlla Gaza non è ancora sconvolto. E questo comporta un prolungamento della guerra col rischio sempre più elevato di una regionalizzazione del conflitto, in un territorio in cui sono ancora presenti forze statunitensi. Il generale dei pasdaran era il funzionario di alto rango più vicino alla leadership iraniana e a quella di Hezbollah e consigliere responsabile del sostegno del cosiddetto “asse della resistenza” in Siria. Il suo assassinio ha il potenziale per trascinare l’Iran e l’asse della resistenza in una guerra totale e per questo sulla linea Siria-Iraq si registra un aumento del sostegno iraniano alle milizie in loco, così come a Hezbollah.

Le due strade dell’Iran

L’Iran ha due opzioni: o colpire Israele con le proprie forze convenzionali, come ha fatto contro gli Usa in risposta all’assassinio di Qasim Soleimani, oppure si vendicherà attraverso organizzazioni per procura. La possibilità che la questione venga lasciata a Hezbollah diventa sempre più probabile. L’Iran teme però che una ritorsione servirà a Israele a creare la condizione per trascinare gli Stati Uniti in guerra contro Tehran. Se da un lato l’amministrazione americana ha fornito a Israele sostegno nell’operazione militare anti Hamas a Gaza, dall’altro lato ha assunto una posizione di deterrenza per evitare che la guerra diventi regionale. Tuttavia, sembra che la regionalizzazione del conflitto non sia un’opzione nemmeno per l’Iran. Fonti libanesi riferiscono infatti che l’Iran ha consigliato a Hezbollah di ricalibrare il fronte aperto da sud e di rispettare le regole del conflitto. Dunque Tehran potrebbe fare un passo indietro rispetto ai suoi annunciati propositi e valutare meticolosamente il luogo, il tempo e la forma della risposta, per evitare che questo rafforzi il presidente israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi partner di estrema destra che, per l’operazione a Gaza e per la loro stessa sopravvivenza politica, acquisirebbero ulteriore prezioso sostegno.

L’avvertimento a Gaza

L’assassinio di Mousavi potrebbe segnalare che Israele è pronta a salvaguardare i suoi interessi di sicurezza su tutti i fronti compreso quello sul suo confine settentrionale e che è preparata a sferrare un significativo attacco aereo anche contro l’Iran. Inoltre, l’attacco è sembrato un avvertimento al leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar. Gerusalemme sembra segnalare in questo modo che nessuno può considerarsi immune dalla guerra che si sta sviluppando in Medio Oriente e questo è un chiaro messaggio rivolto anche al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Il presidente siriano Assad ha perso il controllo delle alture meridionali del Golan, dove negli ultimi mesi centinaia di militanti sciiti sostenuti da Tehran hanno avviato attacchi contro Israele. Per Israele, il trasferimento di fatto del controllo delle alture del Golan all’Iran costituirebbe un “casus belli” e i suoi messaggi su questo sono eloquenti. Resta da capire se su tale delicata questione sia in stretto coordinamento con Washington. L’amministrazione Biden ha più volte chiarito con fermezza che bisogna evitare l’apertura di un secondo fronte contro Hezbollah e l’Iran.