Per Israele e la Striscia di Gaza, il nuovo anno inizia nel solco di quello appena trascorso. Hamas già nelle prime ore di ieri ha celebrato i missili lanciati contro lo Stato ebraico. “Contro Tel Aviv abbiamo sparato venti razzi di tipo M-90. Gaza spara missili per il nuovo anno”, recitava il comunicato. Secondo i media locali, si è trattato di 27 missili, in larga parte intercettati dal sistema Iron Dome. Non sono stati registrati feriti né danni, ma le sirene hanno cancellato subito il timido sorriso per l’arrivo del 2024.

Se la guerra non ha dissipato la sua ombra su Israele, di certo non l’ha fatto nella Striscia. Secondo le autorità locali, gli attacchi israeliani nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio avrebbero ucciso almeno 24 persone. L’esercito israeliano ha dato la notizia che proprio durante un bombardamento aereo a Deir el-Balah è stato ucciso Adel Masmah, comandante locale della “Nukbe”, élite delle milizie di Hamas, e colui che ha guidato l’assalto al kibbutz Kissufim il 7 ottobre, decidendo poi di inviare rinforzi nei kibbutz di Beeri e Nirim.

Il portavoce delle Israel defense forces, Daniel Hagari, è convinto che la guerra continuerà per tutto il 2024, mettendo a tacere le voci che ritengono invece possibile il prossimo raggiungimento di un’intesa per il cessate il fuoco definitivo. “Gli obiettivi della guerra comportano combattimenti prolungati e noi ci organizziamo adeguatamente”, ha detto Hagari. Tuttavia il portavoce delle Idf ha dato anche un’altra indicazione sul prossimo assetto del conflitto, in particolare sull’impegno delle forze terrestri.

“Dobbiamo gestire la distribuzione delle forze sul terreno in maniera complessa, con particolare riferimento alle unità dei riservisti e alle necessità della economia”, ha detto Hagari, che ha continuato annunciando che “unità di riservisti torneranno a casa questa settimana, sapendo che la guerra continua e che avremo ancora bisogno di loro nel 2024”. L’informazione fornita dal contrammiraglio israeliano conferma anche la notizia data dalla radio militare dello Stato ebraico riguardo il ritiro di cinque brigate dal nord della Striscia di Gaza, lì dove le battaglie si sono ormai concentrati solo in alcune sacche di resistenza di Hamas o del Jihad islamico palestinese.

Un segnale importante, perché si tratta del primo significativo ritiro di militari dal settore settentrionale dell’exclave palestinese, e che sembra certificare quel cambiamento di strategia richiesto a Israele anche dal suo principale alleato, gli Stati Uniti. I combattimenti – come hanno confermato militari e media – si concentrano infatti ora principalmente a sud, con Khan Younis epicentro dell’attuale fase della guerra. E tutto questo mentre a Rafah la situazione si fa sempre più difficile sul fronte umanitario, con migliaia di persone che hanno raggiunto negli ultimi giorni la città palestinese al confine con l’Egitto, dove si teme l’aumento degli scontri.

Il governo israeliano, intanto, mentre viene confermata la staffetta agli Esteri tra Eli Cohen e Israel Katz, si interroga sul futuro della Striscia. Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, e Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, entrambi esponenti della destra radicale all’interno dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu, hanno ribadito il desiderio di ripristinare insediamenti ebraici nell’exclave palestinese una volta terminata la guerra.

Netanyahu non ha avallato questo tipo di politiche, ed è molto probabile che da Washington arrivi un netto stop a queste ipotesi. Tuttavia è il segnale di come il pressing sul primo ministro sia tanto esterno quanto interno, mentre la sua leadership appare ormai sempre più fragile. Come del resto è stato confermato anche dalla decisione della Corte suprema idi bocciare una norma fondamentale della controversa riforma giudiziaria che scatenò la rabbia di gran parte dell’opinione pubblica del Paese.

Nel frattempo continua sottotraccia il dialogo con Hamas mediato da Egitto e Qatar per la liberazione degli ostaggi. Ieri alcuni media arabi hanno dato notizia di delegazioni al Cairo per discutere di un eventuale accordo. Ma la sigla palestinese ha ribadito che la liberazione degli ostaggi avverrà solo con la definitiva fine delle ostilità. Ostilità i cui effetti ricadono anche su scala regionale: elemento che preoccupa soprattutto gli Stati Uniti in relazione alle mosse dell’Iran. Ieri una nave di Teheran ha passato lo stretto di Bab e-Mandeb, facendo così il proprio ingresso nel Mar Rosso. Nella stessa area operano da diversi mesi gli Houthi, che con i loro missili destabilizzano le rotte commerciali verso Suez.

Due giorni fa le forze Usa hanno affondato tre imbarcazioni che dallo Yemen hanno tentato di assaltare una portacontainer danese. A Washington si studiano azioni per colpire direttamente la milizia sciita dello Yemen, anche se Joe Biden non è ancora convinto. Mentre dal Regno Unito, il ministro Grant Shapps parla chiaro: “Siamo disposti ad agire”.