«Che cosa è successo nel carcere di Modena l’8 marzo di quest’anno?»: così aprimmo un articolo una settimana fa e continueremo a chiedercelo fin quando la giustizia non ci dirà come è stato possibile che dei detenuti siano morti mentre erano sotto la custodia dello Stato. Come è ormai noto durante le rivolte della scorsa primavera hanno perso la vita tredici reclusi, cinque solo nel carcere di Modena, quattro subito dopo l’arrivo presso altri istituti, uno alla Dozza di Bologna e tre nell’istituto penitenziario di Terni. Ci sono indagini in corso ma intanto l’onorevole di +Europa Riccardo Magi e il deputato di Leu Erasmo Palazzotto hanno presentato rispettivamente una interpellanza e una interrogazione al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Scrive Magi: «in data 8 marzo 2020 presso la casa circondariale Sant’Anna di Modena scoppiava una rivolta dei detenuti, durante la quale, secondo quanto riportato da alcuni presenti, gli agenti di polizia penitenziaria di Modena (cui si sono aggiunti poliziotti da Bologna e Reggio Emilia) hanno messo in pratica dei metodi coercitivi e particolarmente violenti (calci, pugni, manganellate, sputi, insulti, persino spari ad altezza uomo), non solo contro gli iniziatori della sommossa, ma anche nei confronti di coloro i quali non opponevano resistenza alle forze dell’ordine intervenute, nonché di coloro i quali si trovavano in condizioni di alterazione psicofisica e per questo non in grado di difendersi».

Ricordiamo che le rivolte erano esplose a seguito di una circolare dell’amministrazione penitenziaria che prevedeva il divieto di colloqui tra familiari e detenuti per contenere il rischio di contagio. «Secondo quanto riportato dai mezzi di informazione – prosegue l’interpellanza di Magi – a seguito della rivolta, sei detenuti sono morti; sui quotidiani è apparsa la notizia che questi decessi fossero da imputarsi all’abuso di metadone, tuttavia secondo quanto affermato da testimoni, le cause sarebbero da ricercarsi nelle percosse ricevute».

Un caso emblematico dell’ombra che avvolge i fatti di quel giorno riguarda la vicenda, raccontata dall’Agi, di Salvatore Piscitelli «il 40enne sulla cui morte esistono – scrive Palazzotto nella sua interrogazione – versioni contrastanti: la direzione e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria sostengono che sia deceduto in ospedale dopo essere stato soccorso in cella, mentre in una relazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in una comunicazione del Ministro di giustizia si dice che è morto ‘ presso il carcere’ di Ascoli Piceno, subito dopo il trasferimento da Modena. Secondo i compagni di cella non solo sarebbe morto in carcere, all’interno della sua cella, ma non sarebbe stato né soccorso né curato».

Se tutto questo trovasse conferma dall’accertamento dell’autorità giudiziaria «si paleserebbe – sottolinea Magi – la violazione, oltre che di diverse norme penali, anche di norme di rango costituzionale e internazionale. […] Si prospetta in tal senso una duplice violazione, sia a causa della mancata tutela dell’integrità psicofisica dei detenuti, sia a causa del mancato riconoscimento del diritto all’accesso ai trattamenti sanitari che sono garanzia della dignità umana». In conclusione, i deputati si chiedono se «il Ministro Bonafede è a conoscenza di questi fatti, se è stata predisposta una indagine interna, e se intende mettere in campo iniziative concrete in ordine alle responsabilità di questi atti violenti».