Le “case per l’affettività”
Spazi per l’affettività in carcere, individuare luoghi riservati ai colloqui intimi: così i detenuti possono godere di un loro diritto
La sentenza della Corte Costituzionale n.10 del 2024 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge n.354 del 1975 nel prevedere che i colloqui dei detenuti con i coniugi, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, non possano essere svolti senza il controllo a vista del personale di custodia; questa decisione molto attesa della Corte ha aperto uno scenario complesso che trova nei luoghi in cui possano svolgersi i colloqui, anche intimi, il suo focus.
Le “case per l’affettività”
Negli anni con alcuni colleghi architetti abbiamo lavorato per cercare soluzioni architettoniche che potessero trasformare concretamente la vita dei reclusi, consci che lo spazio del carcere rappresenta oggi un aggravio di pena. Quanto affermato nella sentenza ci ha messo di fronte oggi all’urgenza di individuare quelli che sono definiti “appositi spazi riservati ai colloqui intimi”, altrimenti detti spazi per l’affettività, per far si che i detenuti possano godere di un loro diritto sino ad oggi negato. Da molti anni il gruppo di lavoro del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II ha lavorato alla verifica delle potenzialità di spazi inutilizzati o sottoutilizzati, fino alla sperimentazione progettuale su spazi ad oggi mancanti, tra cui proprio le “case per l’affettività”.
Si ragiona in termini di architettura e non di edilizia penitenziaria, per dare dignità alle persone ristrette e senso agli istituti esistenti in Italia, anche quelli che appaiono oggi nelle condizioni peggiori. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha costituito un gruppo di studio sulla sentenza di cui sono stata chiamata a far parte, per gli aspetti relativi ai luoghi e agli spazi; il gruppo sta ancora lavorando. Per quanto concerne il mio ambito di lavoro sono ripartita dagli studi elaborati negli ultimi anni. Da una parte ci si è concentrati sull’individuazione di spazi adeguati da destinare all’affettività, recuperando spazi sostanzialmente inutilizzati e con aperture e luci sufficienti e rispondenti alle necessità, per realizzare delle piccole abitazioni con accesso dall’interno e dall’esterno, alle quali aggiungere anche uno spazio esterno, concepito come un prolungamento dello spazio interno.
Le ipotesi per le case dell’affettività
Per ragioni di sicurezza, lo spazio esterno dovrebbe essere delimitato da sistemi di recinzione leggeri, come reti, pannelli o pareti verdi, che soddisfino comunque le esigenze di sicurezza e isolamento acustico, integrandosi con l’esistente. Abbiamo sviluppato diverse ipotesi progettuali, con diverse quadrature comunque adattabili; la distribuzione prevede in tutte le metrature una zona giorno, servizi igienici e angolo cottura, più una zona letto. Una volta individuato uno spazio disponibile, e gli istituti italiani sono pieni di spazi inutilizzati, abbandonati o mal utilizzati, si potrebbe avviare una rapida e relativamente semplice realizzazione, non sacrificando spazi esterni che, quando esistenti, diventerebbero di servizio alle unità residenziali.
L’altra ipotesi di lavoro è centrata sul progetto di piccole unità abitativa da realizzare ex-novo. Il riferimento è la Casa a Tre Corti progettata dall’architetto Mies Van Der Rohe nel 1934. La scelta della casa a patio è dovuta proprio alla sua natura introversa: una confi gurazione chiusa verso l’esterno che enfatizza la privacy e la sicurezza, due aspetti fondamentali per una struttura detentiva; esternamente, il muro continuo rende la casa completamente chiusa, mentre internamente gli ambienti si aprono verso i patii tramite ampie superfi ci vetrate. In queste piccole abitazioni i detenuti hanno l’opportunità di trascorrere del tempo con le loro famiglie in un ambiente che ripropone i tempi e le condizioni della vita quotidiana. La privacy è garantita dalla sorveglianza indiretta e da un attento posizionamento delle piccole strutture all’interno dei complessi carcerari, distanziandole il più possibile dalle aree frequentate dagli altri detenuti durante la giornata. Sono state sviluppate diverse soluzioni dimensionali per soddisfare le diverse esigenze in base al tempo concesso, al numero di familiari o alla coppia. Sono state ipotizzate diverse possibili aggregazioni di unità per ricreare un’atmosfera residenziale, mantenendo ingressi separati e distanziando le camere da letto dai muri confi nanti per garantire una maggiore privacy.
Marella Santangelo – Architetto, docente di Composizione Architettonica, componente del Gruppo di Studio istituito dal DAP sulla sentenza 10/2024 della Corte Costituzionale
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