«Affettività e carcere, una proposta di riforma tra esigenze di tutela contrapposte» è il titolo dell’evento che si è svolto ieri nella sede del Consiglio regionale a Roma per presentare i risultati della ricerca dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale proprio sul tema dell’affettività dietro le sbarre. Come si legge nell’abstract del lavoro, «è stata realizzata una “ricerca-intervento”, finalizzata a sviluppare una base empirica su cui costruire una proposta di legge volta allo sviluppo della qualità delle relazioni affettive nelle case circondariali italiane».

Sono stati intervistati 203 detenuti tramite questionari standardizzati e diverse figure professionali e dirigenziali penitenziarie. «I dati raccolti dalle interviste effettuate nei quattro istituti penitenziari (“San Domenico” di Cassino, la “Pagliei” di Frosinone, la casa di reclusione di Paliano e di Rebibbia femminile) ci raccontano di numerosi disagi socio-affettivi e relazionali, riscontrati nella popolazione intervistata. In particolare, le relazioni familiari, in oltre il 50% dei casi, anche a seguito delle pesanti restrizioni connesse al Covid-19, si rivelano in bilico poiché connotate da bisogni insoddisfatti, mancanza di affetto e di gesti di intimità». La situazione peggiora per i detenuti stranieri. «Il sovraffollamento resta la causa principale dei disagi riscontrati in quanto non consente la predisposizione di locali adeguati, dove poter effettuare colloqui con i propri familiari. La presenza dei bambini in quegli stessi ambienti, con l’inevitabile aumento di rumori, rende tutto ancora più intollerabile, sia per i minori che per i detenuti».

Ma guardiamo al punto fondamentale: il sesso in carcere. «L’introduzione della sessualità in carcere con il proprio partner ha trovato un generalizzato consenso, legato soprattutto alla salvaguardia del rapporto coniugale e al benessere psicofisico; ma molti di questi pongono come condizioni indispensabili un tempo e uno spazio adeguato, lontano dalle sezioni, che vengono definite “un continuo teatro”, e con accessi riservati. La mancanza di sessualità viene avvertita con un generale senso di frustrazione, come privazione ingiustificata di libertà e “speranza” (detenuto ostativo, 28 anni, CC. di Frosinone) e punizione ulteriore per il proprio partner. Significative alcune risposte negative che mostrano l’astinenza come pena accessoria, in quanto «il carcere è incompatibile con tutto il resto perché è privazione» (detenuto alta sicurezza di 58 anni, CC. di Frosinone)».

La conclusione che si trae dalla lunga relazione di circa 80 pagine è che c’è bisogno assolutamente di un cambiamento. «Le relazioni affettive e sentimentali dei detenuti sono state messe a dura prova con il Covid e hanno mostrato tutti i limiti del nostro quadro normativo», ha spiegato il Garante delle persone private della libertà della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, presente all’incontro, secondo il quale la ricerca «ci consente di rivedere tutta la materia, superando anche il tabù della sessualità che può essere consentita attraverso la riservatezza dei colloqui dei detenuti e delle detenute con i propri nuclei familiari e i propri partner».

La proposta di legge, elaborata a seguito dell’analisi condotta, ha preso spunto dai risultati della ricerca e dal disegno di legge a tutela delle relazioni affettive dei detenuti, presentato lo scorso luglio 2020 in Commissione Giustizia del Senato, su iniziativa del Consiglio Regionale della Toscana e che vede come relatrice la senatrice Monica Cirinnà. Rappresenta un progetto di riforma che il Consiglio regionale del Lazio potrebbe far proprio, per poi presentarlo al Parlamento. Tra le previsioni quella di introdurre le cosiddette “Visite o colloqui intimi”, accompagnate tuttavia, oltre alla mancanza di controllo visivo, da tempi (da 6 a 24 ore) e spazi adeguati.