Affettività e carcere: il binomio è possibile? «Quando l’articolo 28 dell’ordinamento penitenziario prevede che l’amministrazione penitenziaria deve dedicare particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie, significa che il legislatore considera gli affetti imprescindibili nel percorso di reinserimento sociale previsto dalla Costituzione. Affettività significa contatto, relazione, tempo passato assieme, assunzione di responsabilità, attenzione nei confronti dei propri familiari o di persone significative nella vita del detenuto. Significa anche sessualità. Cioè tutto ciò di cui priva il carcere nella realtà attuale. Se più che parlarne, si attuasse quel che prevedono i principi del nostro codice penitenziario, avremmo già fatto un passo avanti nelle direzione giusta». Rita Bernardini, membro del Consiglio generale del Partito Radicale e presidente di Nessuno Tocchi Caino, spiega perché garantire il diritto agli affetti è importante non solo ai fini dei percorsi rieducativi dei detenuti ma anche per i congiunti “incolpevoli”, mogli, madri, padri, figli.

«Pensiamo a quelle decine di migliaia di bambini che all’improvviso, e per anni, vengono privati del rapporto con il padre o la madre rinchiusi in carcere; molti di questi minori sovente soffrono di patologie psicologiche delle quali risentiranno per tutta la vita. Mi sono passati per le mani decine e decine di certificati medici che documentano queste vere e proprie malattie, soprattutto quando il genitore è recluso a centinaia di chilometri dal luogo di residenza della sua famiglia. E ora, con la pandemia da Covid-19, sono ben otto mesi che i colloqui di persona con i figli piccoli sono praticamente aboliti se non, ultimamente, attraverso un triste e alienante vetro divisorio». È un terreno su cui teoria e pratica sembrano prendere direzioni assai diverse.

«Una classe politica arrogante nella sua viltà ha impedito di trasformare in legge quel che erano state le risultanze degli stati generali dell’esecuzione penale volte a una seria ed efficace riforma dell’ordinamento penitenziario – osserva la leader dei Radicali – All’ultimo istante, per paura di perdere voti alle imminenti elezioni politiche, il governo Gentiloni/Orlando si rifiutò di portare a termine i decreti attuativi messi nero su bianco dalla Commissione del professor Glauco Giostra. Un lavoro straordinario gettato a mare. Partito democratico & company persero comunque le elezioni e della riforma non se ne sente più parlare nemmeno ora che il Pd è tornato al governo: la delega in bianco data a Bonafede non lo consente! L’unica conquista di questi ultimi tempi la dobbiamo al Covid-19: si tratta delle videochiamate che però hanno quasi del tutto sostituito i colloqui visivi. Mi auguro che vengano mantenute anche quando – speriamo presto – la situazione tornerà alla normalità. Nun gode er poveraccio si nun è pe’ disgrazia, è un proverbio romanesco che recitava mia madre e che mi sembra perfetto per le chiamate Skype concesse ai detenuti».

Rita Bernardini ha presieduto una Commissione che aveva previsto una serie di modifiche normative: dalle misure compensative per i detenuti assegnati in istituti lontani dal luogo dove vivono i propri familiari, alla concessione di permessi anche nei casi di “particolare rilevanza” per la famiglia del detenuto e l’introduzione di una nuova fattispecie di permesso definito “permesso di affettività”, l’introduzione del nuovo istituto giuridico della “visita”, che si distingueva dal “colloquio”, già previsto dalla normativa, poiché avrebbe garantito al detenuto incontri privi del controllo visivo e/o auditivo da parte del personale di sorveglianza. E poi proposte di modifiche normative per aumentare la durata delle telefonate e i collegamenti audiovisivi, per estendere a tutti gli istituti penitenziari la Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti e le case famiglia protette per evitare la permanenza in carcere dei bambini con le loro madri detenute.

E infine, maggiore possibilità di iniziativa nei rapporti dei direttori delle carceri con gli enti locali, la comunità esterna e il volontariato. Ma la realtà è ben diversa. «Mi dispiace dirlo – conclude Bernardini – ed è comportamento che con il Partito Radicale e Nessuno Tocchi Caino combattiamo, ma la classe politica attuale ha ben poco il senso delle istituzioni e del rispetto dei principi costituzionali. È convinta che con la filosofia del “buttiamo via la chiave” e “più reati, più galera” si conquisti consenso elettorale a buon mercato presso l’opinione pubblica. Ma poi i nodi vengono al pettine e questo modo superficiale di affrontare le questioni le si ritorce contro e a farne le spese sono tutti i cittadini che si ritrovano una giustizia paralizzata e iniqua e che incide in modo fenomenale anche sull’economia che, al netto del Covid, non decolla da decenni. Cittadini che sono costantemente privati del diritto alla conoscenza non possono certo essere in grado di scegliere quel che è meglio e giusto per la loro vita e quella degli altri. Su ciò occorre incidere ed è ciò che cerchiamo di fare remando controcorrente».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).