Matteo Salvini è andato a dare manforte alle decine di agenti di polizia penitenziaria raggiunti da un avviso di garanzia per i presunti pestaggi avvenuti il 5 aprile scorso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Immediatamente gli ha fatto eco Giorgia Meloni gridando al vergognoso affronto nei confronti degli agenti. Insomma, la sostanza è questa: o ti schieri con le “guardie” o ti schieri con i “ladri”, altre posizioni non possono essere prese in considerazione. A fronte di decine di denunce presentate da detenuti, garanti e associazioni, e in un Paese ove vige l’obbligatorietà dell’azione penale, secondo la coppia Salvini&Meloni la Procura avrebbe dovuto infischiarsene. Salvini e Meloni sono del resto coerenti con il loro credo politico tanto che avevano votato contro l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, avvenuta nel 2017 a 33 anni di distanza dalla ratifica da parte del nostro Paese della relativa Convenzione Onu. Responsabili del clamoroso ritardo, quindi (è giusto non addossare la colpa ad una sola parte), sono stati tanto i governi di centro-destra, tanto quelli di centro-sinistra.

Sono peraltro convinta che il duo in questione non faccia un buon servigio nemmeno alla causa degli agenti perché se ci sono – e ci sono – alcuni di loro adusi a violare la legge con le maniere forti (un’infima minoranza), la stragrande maggioranza dei componenti del corpo è sicuramente sana. Isolare i violenti è fondamentale per l’onorabilità e la credibilità del corpo. Non ostacolare le indagini in corso dovrebbe essere l’opera di tutti, altro che salire sui tetti del carcere come hanno fatto alcuni poliziotti rivoltosi (è il caso di dirlo!) ai quali era stato notificato l’avviso delle indagini in corso! Le strumentalizzazioni alla Salvini è molto probabile che portino voti, ma ritengo che vadano a detrimento della professionalità del corpo degli agenti penitenziari perché se è vero che il loro compito è quello di mantenere l’ordine e la sicurezza è vero anche che la loro funzione è determinante per cercare di attuare il principio costituzionale della rieducazione.

Quanti ne ho conosciuti di agenti capaci di mettere in piedi l’organizzazione di lavorazioni, eventi o corsi in cui i detenuti possono dedicarsi ad un’attività che li salvi dall’alienazione della vita carceraria fatta esclusivamente di cella e ora d’aria! E quanti di loro riescono a stare vicini ai detenuti nei momenti di scoramento, quando per esempio sono preoccupati e ansiosi per qualche evento spiacevole che ha riguardato figli o loro parenti stretti. Perché se c’è una figura professionale che è sempre presente è proprio quella degli agenti: in alcune carceri trovare educatori, psicologi e, spesso, anche direttori o un medico o un infermiere, è impresa impossibile e questo per scelte dissennate dell’Amministrazione centrale e del Ministero della giustizia in generale. Sugli eventi di quei giorni tra il 5 e il 6 aprile ho personalmente ricevuto una lettera, fra le tante, che mi ha particolarmente colpito.

Scrive un detenuto a sua moglie: «Caro amore mio, oggi è l’8 aprile e ti scrivo per dirti che non sto molto bene e non so nemmeno come mandarti questa lettera in quanto non le fanno partire… sto vedendo se esce qualcuno per fartela avere. Amore, qui il giorno 6 aprile ci hanno fatto le perquisizioni a tutto il reparto, ma non solo questo, ci hanno distrutto le celle con parecchie cose che avevamo comprato noi stessi. Per colpa di qualche sezione a rimetterci sono state anche le altre e, sezione per sezione, sono venuti quasi 100 – 150 persone di polizia penitenziaria con i manganelli e si sono messi tutti in fila per il corridoio dopo che ci hanno distrutto le celle e poi cella per cella ci spedivano in saletta e mentre camminavano per il corridoio ci hanno distrutti di manganellate. Calcola che io Amò sto pieno di lividi dappertutto. Ma non è finita, stanno ancora continuando a fare abusi sui detenuti: all’improvviso viene la squadretta e portano i detenuti giù e li gonfiano di mazzate. In poche parole Amò io non ce la faccio più a subire tutte queste violenze. Per i troppi lividi che ho addosso non ce la faccio nemmeno a sedermi sulla sedia. Poi l’infermiera non ci chiama per farci refertare per paura delle guardie… Comunque Amò io ho ancora tante cose da raccontare, se parte la denuncia finirò di raccontare».

Le indagini della magistratura accerteranno se ci siano stati dei pestaggi a freddo o se, invece, le manganellate e altri tipi di violenze siano state l’inevitabile risposta di agenti chiamati a sedare una rivolta (o manifestazione di protesta) che i detenuti avevano inscenato dopo aver saputo che il covid-19 aveva colpito l’addetto alla distribuzione della spesa: da quel che riporta la stampa sembra che la protesta sia velocemente rientrata, mentre il giorno dopo ci sarebbe stata l’aggressione dei “caschi blu”, cioè di agenti penitenziari con il volto coperto da un casco. Dall’inizio di marzo, come Partito Radicale e Nessuno Tocchi Caino, avevamo fatto di tutto per convincere il Dap e il Ministro della Giustizia a dialogare con la comunità penitenziaria nel prendere le misure necessarie per affrontare la pandemia. Purtroppo, o non siamo stati noi convincenti o, dall’altra parte, c’è stata la presunzione di conoscere il carcere e le dinamiche che si sviluppano in una comunità “reclusa” costantemente bombardata dai bollettini di morte diffusi dalle televisioni.

Quanto alla violenza delle rivolte, credo che sia l’ovvia conseguenza che si manifesta quando viene a mancare qualsiasi forma di dialogo e quando si vogliono imporre soluzioni drastiche – come quella del divieto dei colloqui con i familiari – senza dare alcuna spiegazione. Per non parlare del panico che può scatenersi a seguito dell’assillante campagna dei media sul distanziamento sociale, sull’uso delle mascherine e dei disinfettanti scaraventata in un ambiente come quello penitenziario dove manca lo spazio vitale per muoversi, i luoghi sono malsani, l’assistenza medica è una chimera e persino il personale di ogni ordine e grado viene privato degli essenziali strumenti sanitari di difesa personale.

Si parla spesso delle regole trasgredite dalla popolazione detenuta; Giletti a Non è l’Arena ha fatto l’elenco dell’aumento incredibile in 9 anni (dal 2010 al 2019) delle aggressioni agli agenti, del rinvenimento di telefonini e stupefacenti, delle infrazioni disciplinari e della violazione di norme penali. Il problema è che non sono mai rilevati i dati sulle regole e norme infrante dall’Amministrazione Penitenziaria: basterebbe prendere il codice penitenziario, leggerlo articolo per articolo, per accorgersi di come l’illegalità regni sovrana nelle patrie galere. Per lo Stato italiano difficilmente c’è chi paga per le violazioni di legge, anche se si tratta della legge suprema, come il comma 4 dell’art. 13 della Costituzione che recita «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Ottenere un po’ di trasparenza sul pianeta carcere sarebbe un passo decisivo per ridurne il tasso di violenza e di fabbricazione del crimine.