Tortura, violenza privata, abuso di autorità. Ecco le ipotesi di reato che la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha formulato a carico di 57 agenti di polizia penitenziaria che, il 6 aprile scorso, avrebbero pestato, insultato e minacciato alcuni detenuti “rei” di essersi barricati per protesta nel reparto Nilo dopo che un addetto alla distribuzione della spesa era risultato positivo al Coronavirus. A sollevare il caso era stata l’associazione Antigone, firmataria di un esposto alla Procura, che ora alza la voce e chiede che venga fatta luce su presunti episodi di “violenza generalizzata”. Sul fronte opposto gli agenti di polizia penitenziaria e il leader leghista Matteo Salvini che ieri non ha perso l’occasione per ribadire la necessità di introdurre pistole elettriche e videosorveglianza in carcere.

Il blitz è scattato ieri mattina, quando i poliziotti penitenziari che si accingevano a entrare nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono stati fermati dai carabinieri per essere controllati e identificati. Altri, già in servizio, sarebbero stati fatti uscire dalla struttura. Ad altri ancora sarebbero stati sequestrati i cellulari. A quel punto alcuni agenti sono saliti sul tetto, mentre altri si sono riversati nel piazzale del carcere per protestare contro il comportamento tenuto dai carabinieri. «I poliziotti penitenziari si sono sentiti offesi per le modalità con cui sarebbero stati trattati, considerato che questa azione sarebbe avvenuta in presenza dei familiari dei detenuti – ha sottolineato Michele Vergale, dirigente nazionale del Sippe – Durante il blocco non erano presenti sul posto funzionari della penitenziaria e neanche il direttore, giunti solo dopo il controllo». Di qui la rabbia degli agenti. Fatto sta che la notifica dei 57 avvisi di garanzia segna una svolta nelle indagini sui fatti di Santa Maria Capua Vetere.

È il 5 aprile quando in carcere si diffonde la notizia di un detenuto, addetto alla distribuzione della spesa, affetto da Covid-19 e perciò in isolamento. Tanto basta a scatenare il panico: 150 reclusi cominciano la battitura delle sbarre, mentre altri si barricano nella terza sezione del reparto Nilo chiedendo gel igienizzante, mascherine e guanti per proteggersi dal Coronavirus. La protesta sembra destinata a spegnersi di lì a poche ore, dopo il colloquio tra i detenuti e il magistrato di sorveglianza. Il faccia a faccia ha effettivamente luogo il giorno dopo. Pochi minuti più tardi, però, stando a quanto denunciato da Antigone, decine di agenti penitenziari in tenuta antisommossa sarebbero entrati nel reparto Nilo e avrebbero preso i detenuti a schiaffi, pugni, calci e colpi di manganello. Nella ricostruzione di Antigone si parla addirittura di persone massacrate di botte, svenute nel sangue o che il sangue lo urinano, traumi cranici, costole e denti rotti.

Di qui l’esposto con cui l’associazione ha chiesto alla Procura di indagare su possibili episodi di tortura: «È doveroso che su questi fatti sia fatta piena luce – sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – Sarebbe importante se tra i capi di imputazione dovesse esserci anche quello di tortura, perché ciò consentirebbe di svolgere le indagini con maggiore serenità». E Salvini? Il leader leghista si è precipitato a Santa Maria Capua Vetere e lì ha invocato pistole elettriche per la polizia penitenziaria e videosorveglianza in carcere. «Ho lasciato tutto quando sono venuto a conoscenza del trattamento riservato a 44 servitori dello Stato – ha detto Salvini – Se uno su mille sbaglia, deve pagare, ma le modalità usate nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere non sono accettabili».

Il clamore della vicenda ha scosso anche i vertici dell’amministrazione penitenziaria, informati dal provveditore campano Antonio Fullone: «Il Dap è certo che si farà massima chiarezza in tempi brevi e intende rivolgere un rispettoso riconoscimento al corpo della polizia penitenziaria e a ogni singolo operatore che in esso e per esso svolge quotidianamente, con convinzione, dedizione e sacrificio, un compito non facile e al servizio del Paese».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.