Il caso
Carcere di Santa Maria Capua Vetere: “Detenuti torturati”
Tra il 7 e l’8 aprile l’Associazione Antigone ha ricevuto numerose segnalazioni su violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Dalle verifiche effettuate dai nostri legali è venuto fuori un quadro che ci parla di una vera e propria mattanza. Questa la cronologia degli eventi. Il 5 aprile, tra i detenuti del reparto “Nilo”, si diffonde la notizia di un detenuto in isolamento con febbre alta, affetto da Covid-19. Si tratta di uno dei detenuti addetti alla distribuzione della spesa – uno spesino, nell’infantilizzante gergo carcerario. La notizia genera paura e ansia, e queste generano una protesta.
Circa 150 detenuti su 400 danno vita alla tradizionale battitura delle sbarre. Nella terza sezione del reparto Nilo arrivano a barricarsi dietro una barriera di brande, chiedendo che vengano distribuiti igienizzanti, maschere e guanti. La protesta sarebbe stata pacifica e si sarebbe spenta alla sera, con la promessa di un colloquio con il Magistrato di Sorveglianza. Il giorno successivo questo colloquio ha luogo. Una volta andato via il Magistrato, però, tra le 15 e le 16, circa 400 agenti di polizia penitenziaria sarebbero entrati nel reparto in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi, e lì, in gruppi da sette, sarebbero entrati nelle celle prendendo i detenuti a schiaffi, calci, pugni e colpi di manganello.
Dopo un primo pestaggio li avrebbero trascinati in corridoio, continuando lì e costringendoli alla fuga verso le scale e fino all’area dedicata al passeggio. Alcuni caduti per strada sarebbero stati dati altri colpi. Ad altri invece sarebbe stato chiesto di uscire dalle celle per una perquisizione. Una volta denudati sarebbero stati insultati e pestati. Vari detenuti, dopo il pestaggio, sarebbero stati costretti a radersi barba e capelli. A operazione finita alcuni sarebbero stati messi in isolamento, altri trasferiti in altri istituti. Nei giorni seguenti molte telefonate non sarebbero state consentite. A chi invece era consentito chiamare sarebbero state rivolte minacce nel caso in cui avessero raccontato gli eventi. Ciò non avrebbe impedito a dei detenuti di mostrare ai familiari o agli avvocati i segni delle violenze.
Infine, diversi medici avrebbero omesso dai referti i segni delle violenze. Nella ricostruzione di Antigone si trovano persone massacrate di botte, svenute nel sangue o che il sangue lo urinano, traumi cranici, costole e denti rotti. Ovviamente è stato presentato un esposto in Procura. Antigone ha chiesto che i fatti in questione, laddove fossero confermati, vengano qualificati come tortura commessa da pubblici ufficiali, così come previsto dall’art. 613 bis.
Capita che di fronte alle violenze in carcere si invochi l’art. 41 dell’ordinamento penitenziario, che consente l’uso della forza quando è “indispensabile” “per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti”. Ma è chiaro, sempre se questa ricostruzione dovesse essere confermata, che non ci troveremmo in questa eventualità.
La protesta dei detenuti, oltre a essere stata pacifica, è avvenuta il 5 aprile. L’intervento degli agenti il 6. Si tratterebbe dunque di una ritorsione, non di un’azione di ordine pubblico. Antigone ha chiesto che le autorità competenti facciano luce su quanto accaduto in maniera tempestiva.
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