Come tutto il paese anche le nostre carceri vivono una stagione di emergenza straordinaria. C’è l’isolamento dal mondo esterno, c’è la paura del contagio, c’è la consapevolezza di vivere in condizioni di affollamento ed igiene decisamente precarie. In questo contesto, e per queste ragioni, sono esplose l’8 marzo e nei giorni immediatamente successivi numerose proteste in tutta italia, alcune delle quali sfociate in vere e proprie rivolte, che alla fine hanno coinvolto 49 istituti penitenziari, causando la morte di 12 detenuti, numerosi ferimenti e la distruzione di intere sezioni detentive. Fatti di una gravità senza precedenti, dai contorni non ancora del tutto chiari, e le cui conseguenze sono ancora in corso.

Molti detenuti infatti sono stati trasferiti a seguito delle proteste e come è normale sono stati avviati molti procedimenti disciplinari ed anche penali, quando le condotte poste in essere erano da considerarsi reati. Perché questo è quello che avviene in uno stato di diritto quando vengono violate delle leggi. Eppure in questi giorni ci sono arrivate notizie di fatti che con lo stato di diritto non hanno purtroppo nulla a che fare. Siamo stati infatti raggiunti da numerose segnalazioni di violenze ed abusi avvenuti non durante le rivolte, ma nelle ore e nei giorni successivi, delle vere e proprie rappresaglie contro alcune persone che avevano partecipato alle proteste.

Se così fosse si tratterebbe di “punizioni” certamente non previste dalla legge. Si tratterebbe al contrario di abusi dalla legge severamente vietati, oggi più che mai dopo l’introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura, che punisce “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia”. Le segnalazioni hanno riguardato alcune carceri italiane, tra le quali quella di Milano-Opera.

In particolare per Opera ben otto diverse persone (madri, sorelle, compagne di detenuti) si sono rivolte ad Antigone raccontando quanto sarebbe stato loro comunicato dai congiunti o da altri contatti interni. Le versioni riportate, che parlano di brutali pestaggi di massa che avrebbero coinvolto anche persone anziane e malati oncologici e che avrebbero portato a mascelle, setti nasali e braccia rotte, risultano tutte concordanti.

Noi non abbiamo ovviamente modo di verificare la veridicità di queste notizie, in particolare in questo momento in cui l’accesso al carcere per osservatori esterni è praticamente impossibile. Vista però la gravità e la concordanza delle segnalazioni ricevute, queste sono state inviate alla procura competente presentando un esposto al riguardo e la stessa cosa ci apprestiamo a fare per altre notizie che ci hanno raggiunto in questi giorni.

A chi di dovere il compito di svolgere le indagini. Oggi più che mai è fondamentale che si proceda ad un’indagine rapida e capace di fare chiarezza su quanto avvenuto e che, parallelamente all’azione penale, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avvii subito un’indagine interna urgente che sappia dare un segnale chiaro e mai ambiguo di condanna assoluta del possibile utilizzo della violenza ai danni delle persone detenute. Perché lo stato di diritto non può contemplare angoli bui ed il carcere, per garantire il rispetto delle regole, non può e non deve diventare il luogo della sospensione di quelle stesse regole.

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