Il mondo e la televisione non erano solo in bianco nero, ma in grigio sgranato. Eravamo tutti immersi nel grigio sgranato alle due di notte da noi in Italia. Tito Stagno aveva degli occhiali dalla montatura assurda in gran voga, era molto curato e bell’uomo pettinato con buon taglio di capelli con riga in un mondo di capelloni sessantottini, completo chiaro, camicia immacolata cravatta di estiva eleganza e doveva solo cercare di capire e tradurre quel che stava accadendo a Houston Texas dove c’era quell’altro grande personaggio che era Ruggero Orlando le cui geniali improvvisazioni come inviato in America ce lo facevano apparire un privilegiato geniale e di successo.

Tito Stagno era un grande telecronista sportivo, quel giorno titolare della cronaca del più grande e finora ineguagliato traguardo dell’Umanità, ma diciamo pure dell’America in sidereo duello con l’Urss che aveva dominato la corse nello spazio lanciando il primo satellite, il primo cane, il primo uomo, la prima donna, si era presa per anni le prime pagine. Era la rimonta. L’America realizzava il sogno. La navicella stava scendendo lentamente sul suono lunare e Tito Stagno cercava di capire rumori falcidiati da una connessione pessima, sicché inventava a soggetto come ancora, a quei tempi, era possibile e necessario. “Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare!”, orlò. Applauso in studio televisivo romano a via Teulada, attrezzato come una sala lancio di Houston, Texas.

“Signori – disse Stagno – sono le 22 Italia e un veicolo fabbricato dall’uomo ha appena toccato il suolo lunare…
Dall’altra parte del mondo si sente la voce di Ruggero Orlando che cerca di interromperlo inutilmente e che finalmente viene udito dire: “Qui pare che manchino ancora dieci metri”. Tito Stagno ha un gesto di stizza, si dà una manata sui capelli pettinati, sconvolgendoli. “No Ruggero. No Ruggero, no Ruggero – dice Stagno come se fosse ormai una questione d’onore – ormai ha toccato, e dunque ha toccato”. Orlando da Houston capisce benissimo il dramma del collega a Roma che doveva interpretare dei sinistri suoni gracchianti e fingere di capire tutto e di sapere un inglese perfetto e cerca di salvare l’amico sacrificando la storia: “Cedi, dieci secondo fa hanno “quasi” toccato perché prima di toccare, la nave deve mettere giù le zampe per stabilizzarsi, e sta adesso per toccare davvero”.

“No Ruggero! – dice stizzito l’elegante cronista italiano – la nave spaziale creata dall’uomo per atterrare su un altro corpo celeste, ha toccato la Luna. L’ho detto e non si va indietro” Ruggero Orlando perde la voglia di salvare il testardo collega da una gaffe dovuta alla fretta e a un pizzico di narcisismo, E senza enfasi, quasi annuncia compostamente: “Ecco, ora Apollo 11 ha toccato. Adesso”. Sbalordimento in studio. Tito Stagno capisce che è arrivato il momento di tornare a mantenere la palla della cronaca e con un secondo urlo di eccitazione dice sì, ha ritoccato e lancia un secondo applauso che contamina la piccola folla che riapplaude. Ruggero Orlando per la seconda volta va in suo soccorso: “In realtà quei pochi secondi servivano per dare il tempo agli astronauti di prepararsi perché mancavano ancora le lunghe zampe…”

Tito Stagno a questo punto ripeteva alcune auliche parole d’occasione sull’intelligenza e tenacia dell’uomo, intendo gli americani e si prepara alla seconda parte della cronaca che vedrà il piedone di Armstrong tentennare sulla scaletta, saggiare un terreno alieno e poi definitivamente scaricare il proprio baricentro sul terreno polveroso e non attraente del satellite e pronunciare la famosa frase prevista dal copione, quella del primo passo del primo uomo sulla Luna che ha cambiato la storia dell’umanità”. Ma queste parole Armstrong le pronuncerà sei ore dopo l’allunaggio quando tutti eravamo andati a dormire. Tito Stagno, che aveva sperato da poco i novant’anni, è morto due giorni fa e la sua morte ha acceso i ricordi e il ricordo più intenso è stato quello del piccolo umano incidente, e della piccola umana testardaggine. Aveva preso un. Abbaglio e non voleva tornare indietro.

Lo spiegò due anni fa a Porta a Porta quando rievocò l’episodio, spiegando che non si sentiva un accidente, non capiva un accidente, tutto era ronzio e gracchiare e lui interpretò un suo che gli sembrava suonare come touched e invece chissà che era e avidamente precedette tutti i cronisti del mondo intero facendo allunare Apollo 11 con almeno dieci di d’anticipo. Forse non è un peccato che un bravo giornalista sia passato alla storia per un errore, e per un piccolo capriccio, ma così è. Tito Stagno apparteneva alla lega dei volti noti e amici della Rai che era anche l’unica rete televisiva italiana. Esisteva solo l’Italia della Rai con dentro i suoi dèi eponimi, gli eroi di tutti, i volti sicuri e garantiti e Tito Stagno era fra di loro quello un po’ più giovane e retrò allo stesso tempo.

Era molto fermo e anche apodittico, incarnava la figura del cronista di lusso delle grandi occasioni, che so, come raccontare il primo viaggio dell’uomo sulla Luna dopo gli eroi di Jules Verne. E lui lì. Pronto a battere tutti e portare anche la bandiera italiana della cronaca più anticipata rispetto alle altre. Nessun altro telecronisti del mondo aveva interpretato ciò che per Tito Stagno era il segnale di allunaggio ed essendo un uomo onesto, simpatico e di fermi principi, una volta allunato non ne voleva sapere di tornare indietro e quando lo fece, con uno scatto di reni chiedendo al suo pubblico un secondo applauso, tutti erano con lui, come anche noi oggi che lo ricordiamo con nostalgia e simpatia.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.