Il Presidente turco è al lavoro per il prossimo incontro con Putin
Turchia, la quiescenza (solo apparente) del Sultano Erdogan
Recep Tayyip Erdogan, nelle ultime settimane, sembra entrato in una fase di “quiescenza”. Tuttavia, dietro le quinte, lavora alacremente alle sue relazioni diplomatiche: desidera, infatti, parlare con Vladimir Putin.
Dopo le elezioni e il summit della Nato a Vilnius, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sembra entrato in una fase di “quiescenza”. Eppure, forse più nell’ombra rispetto ai mesi precedenti, il Sultano muove eccome i fili della sua diplomazia, cercando di sfruttare le crepe della geopolitica in tutte le aree in cui vuole proiettare il suo Paese.
In questi giorni, il presidente turco lavora per un incontro con l’omologo russo Vladimir Putin. Si pensava a un vertice in Turchia, ma le ultime indicazioni suggeriscono che il faccia a faccia possa avvenire a settembre in Russia. Per il leader turco un impegno importante.
Da una parte deve confermarsi come unico interlocutore atlantico del Cremlino e consolidare gli ottimi rapporti con Mosca. Dall’altra parte, deve dimostrare di non essere troppo accondiscendente con lo zar nel momento è impegnato a rafforzare nuovamente i legami con l’Occidente – sia come Stati Uniti che come Unione europea – dopo una fase in cui le distanze sono apparse molto ampie.
Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, ha incontrato ad Ankara l’omologa bulgara, Marija Gabriel, ribadendo l’importanza di “rinvigorire le relazioni” tra Ankara e Bruxelles e il desiderio del governo turco di rilanciare il progetto di adesione all’Ue. L’ipotesi appare al momento più che remota, sia per la ritrosia di molti membri dell’Ue sia per alcune questioni irrisolte da parte di Ankara con i vicini Ue. Da ultimo, vale la pena ricordare il tema di Cipro Nord, di recente tornato agli onori della cronaca per le tensioni tra turchi e membri delle Nazioni Unite tanto da fare intervenire il Consiglio di Sicurezza con una dichiarazione di condanna.
Nel frattempo, però, al netto di questo episodio, il messaggio che Erdogan vuole far passare è quello di avere varato una politica meno altisonante ma non meno incisiva del passato. Anzi, l’obiettivo – e in questo si nota anche la mano di Fidan, ex capo dei servizi segreti turchi – appare quello di mostrare una Turchia che fa meno scommesse che possano irrigidire l’Occidente, puntando invece a risolvere alcuni dossier bollenti che ha necessità di chiudere presto.
Leggere le mosse del ministro degli Esteri può essere un utile termometro. Fidan, dopo avere incontrato la ministra bulgara, si è recato in Iraq, con cui la Turchia ha rapporti complicati. Sul tavolo tre questioni fondamentali: il petrolio iracheno per Ankara, il flusso d’acqua del Tigri gestito dalla Turchia e la milizia curda del Pkk. Non a caso, il Daily Sabah, uno dei principali media legati al governo turco, ha dato notizia proprio prima della visita di Fidan della “neutralizzazione” di un combattente curdo in Iraq.
L’annuncio è stato dato dall’intelligence di Ankara, il Mit: agenzia che fino a pochi mesi fa prendeva ordini direttamente dall’attuale capo della diplomazia di Erdogan. Per il ministro degli Esteri è previsto inoltre un altro delicato appuntamento nello scacchiere geopolitico turco. Oggi, infatti, è atteso in Ucraina, ed è già pronto a sbarcare in Russia. Qui il Sultano gioca una delle sue partite più difficili. Sempre attento alle istanze ucraine ma mai intransigente con il Cremlino, per Erdogan si tratta di mantenere il suo tradizionale equilibrismo provando a consolidare la sua posizione di mediatore.
Di qui la scelta di inviare Fidan in entrambi i Paesi mentre lui organizza il vertice con Putin. Erdogan desidera parlare direttamente con Putin. L’urgenza è rappresentata dall’accordo sul grano, che a Istanbul ha il suo polo logistico. Ma ci sono altre aree dove si incontrano gli interessi di entrambi i Paesi. La Siria, dove è in corso uno strano disgelo. Il Caucaso, sempre in ebollizione. E infine il Sahel, dove la Turchia è un attore che può diventare decisivo. Erdogan ha già detto di non essere d’accordo con l’opzione militare di Ecowas in Niger: cosa su cui è d’accordo anche Sergei Lavrov. E la rete turca in Africa è più estesa di quanto possa far pensare il grande gioco delle superpotenze.
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