Una volta, accendere la televisione significava aprire una finestra sul mondo: informazione, intrattenimento, cultura, riflessione. Oggi, quella finestra si è trasformata in un vetro appannato, opaco, spesso nauseante. Non per colpa del mezzo in sé, ma di chi lo governa. I segnali sono inequivocabili: trasmissioni cancellate nel silenzio generale, show che chiudono prima ancora di completare il ciclo previsto, palinsesti farciti di format preconfezionati che sembrano usciti da una catena di montaggio di banalità. Eppure, in questo deserto creativo, gli autori continuano a essere confermati, i conduttori premiati, i responsabili promossi.

A pensar male si fa peccato, ma… il pubblico non è stupido. Anzi, è stanco. Sempre gli stessi volti, sempre gli stessi cliché, sempre gli stessi “esperti” che saltano da una rete all’altra come se il fallimento fosse un lasciapassare e non un campanello d’allarme. C’è un paradosso evidente: più un programma è inutile, più probabilità ha di essere trasmesso. E poi c’è la grande invasione: quella delle cucine. Ogni trasmissione – sia essa talk, varietà, o pseudo-programma di approfondimento – ha ormai il suo spazio “gastronomico”, come se spadellare in diretta potesse risolvere la crisi della creatività televisiva.

Ma il telespettatore, che nel frattempo è diventato anche fruitore digitale, ha smesso da tempo di farsi prendere per la gola. Sa distinguere tra intrattenimento e fastidio, tra contenuto e riempitivo. Il problema, però, è più profondo. È un sistema che non premia la competenza, ma l’amichetto giusto o la fidanzatina di turno. Chi ha idee, competenze e visione resta ai margini, mentre chi si muove bene nei corridoi viene spinto sotto i riflettori, anche a costo di condurre nel baratro intere produzioni. L’effetto? Un’ondata di programmi inutili, fotocopie sbiadite di modelli già falliti, condite da interviste che non dicono nulla, gag stanche e ospiti da rotazione obbligata.

In un mondo che cambia alla velocità della luce, la televisione resta inchiodata a un’idea vecchia, comoda, autoreferenziale. E il rischio, ormai più che concreto, è che il pubblico la abbandoni del tutto. Perché si può essere indulgenti una, due, dieci volte… ma l’intelligenza dello spettatore non può essere insultata all’infinito. Forse è il momento di spegnere la TV. O, meglio ancora, di cambiarla sul serio.

Maurizio Pizzuto

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