Dopo 35 anni, il “Senatur” Umberto Bossi lascia il Parlamento. Il fondatore della Lega, quando il partito era ancora quello del Nord, dei riti pagani sulle sponde del Po e della secessione contro “Roma ladrona”, non è stato eletto in questa tornata elettorale che ha segnato la prima grave crisi della segretaria di Matteo Salvini.

Bossi era il capolista del Carroccio nel collegio plurinominale per la Camera a Varese, ma il partito non ha ottenuto alcun seggio: tutta colpa dei complicati giochi dei “resti” legati alla legge elettorale, il Rosatellum.

Ma colpa anche dei pessimi risultati della Lega nel Nord in cui un tempo era partito egemone, di cui rappresentava le istanze nel Parlamento: anche in Lombardia, così come in Veneto, il Carroccio è stato preso metaforicamente a schiaffoni da Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio in pectore, ha praticamente doppiato la Lega e così l’esclusione dopo 35 anni dal Parlamento di Umberto Bossi diventa anche il simbolo della crisi del partito da lui fondato nel 1989 dopo aver unito vari movimenti politici autonomisti dell’Italia settentrionale.

Il popolo del Nord esprime un messaggio chiaro ed inequivocabile che non può non essere ascoltato“, ha commentato Bossi all’AdnKronos, dopo il voto di domenica scorsa. “Sono contento poiché avevo deciso di non candidarmi. Mi hanno pregato e solo per il rispetto verso la militanza ho accettato“.

Salvini, con cui non è mai corso buon sangue e che è stato il protagonista della svolta nazionale e nazionalistica della Lega, dell’addio a partito del Nord, ha proposto per lui un ruolo da senatore a vita. “Sarebbe il giusto riconoscimento dopo trentacinque anni al servizio della Lega e del Paese. Porterò avanti personalmente, sicuramente con l’appoggio non solo della Lega ma di tantissimi italiani, questa proposta“, ha detto questa mattina nel commentare l’ufficialità dell’esclusione del “Senatur” dal prossimo Parlamento.

Una posizione ben diversa sui senatori a vita Salvini la teneva soltanto pochi anni fa. Intervenendo in Senato nel settembre 2019, come ricorda oggi Il Foglio, il leader del Carroccio definì quello del senatore a vita come “una figura assolutamente superata nella storia della nostra Repubblica. Lasciare a dei senatori a vita pro tempore, che vengono qua quando hanno tempo, il governo che nasce e che muore proprio no. Con tutto il rispetto. E’ la casta della casta della casta“, disse all’epoca, rilanciando poi via social la ‘battaglia’ per l’abolizione della carica.

Il declino del leader

Una posizione, quella di Bossi, sempre più marginale all’interno del partito che aveva fondato. Uno ‘stop’ forzato arrivato nel 2012, quando in aprile Bossi si dimette da segretario federale del Carroccio dopo l’inchiesta giudiziaria sull’utilizzo per scopi privati da parte della sua famiglia dei soldi ottenuti dal partito col finanziamento pubblico.

La sconfitta, quella più dura da digerire, arriverà l’anno seguente. Candidatosi alle primarie del partito per la segreteria, il 7 dicembre 2013 viene sconfitto dal “giovane” Matteo Salvini con un risultato quasi plebiscitario, l’82% dei voti, che segnerà la svolta ‘nazionale’ del Carroccio.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia