La vittoria schiacciante copre screzi, divisioni e sospetti. Il destracentro ha stravinto, ha ottenuto il 44% dei voti alla Camera e al Senato che significa una maggioranza di circa 114 seggi (su 200) a palazzo Madama e circa 240 (su 400) alla Camera. Il destracentro non è maggioranza nel Paese perché al netto del 37% di astenuti, la più alta di sempre. se si sommano le percentuali di voto di +Europa, Verdi e Sinistra, 5 Stelle e Terzo Polo si ottiene il 48,7% dei consensi. Se invece si sommano le percentuali di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi Moderati si arriva al 43,8%. Il destracentro quindi, nonostante la cannibalizzazione ai danni di Lega e Forza Italia, entro la fine del mese di ottobre, giorno più o meno, salirà al Colle e indicherà Giorgia Meloni come candidato premier.

Sarà la prima donna premier italiana. Sarà la prima volta che un partito con la fiamma tricolore nel simbolo, elemento grafico riconducibile ai partiti della destra storica, guiderà il Paese. Fratelli d’Italia con il 26% dei consensi ha più che triplicato i voti di Lega (8,9%) e Forza Italia (8,3%). Da qui il nodo lessicale per cui il centrodestra è diventato più correttamente destra-centro.
Salvini tira dritto: 5 anni al governo. Questioni lessicali a parte, il quadro che esce dalle urne consegna al partito di Giorgia Meloni il ruolo di kingmaker assoluto della prossima legislatura. E, come effetto collaterale, un problema di sbilanciamento di rapporti rispetto soprattutto alla Lega crollata all’ 8,9. Meno problemi per Forza Italia che è riuscita a recuperare un paio di punti percentuali (8,3) grazie a Silvio Berlusconi che, al netto di qualche gaffe (la più grave quella su “Putin che voleva mettere gente per bene al governo di Kiev”), ha saputo essere centrale e rassicurante in una campagna elettorale violenta e senza temi.

Il vero sconfitto della coalizione è quindi Matteo Salvini. Ma chi ha elucubrato circa un suo “inevitabile passo di lato”, ha dovuto prontamente ricredersi. Il leader della Lega ha aspettato ieri mattina per tirare la riga sull’esito del voto. Ed è stato tranchant: «Con il 9% dei voti portiamo a casa cento parlamentari, un patrimonio di donne e uomini che mi tengo ben stretto» soprattutto perché sono tutti da lui selezionati sulla base di accertata fedeltà. «È chiaro – ha aggiunto – che non sono contento, non ho lavorato per questo 9% ma vi dico che andremo avanti per cinque anni insieme e senza perdere tempo. Alle quattro di stamani (ieri mattina, ndr) ho parlato con Giorgia, le ho fatto i complimenti e le ho detto che lavoreremo tanto insieme e a lungo». La Lega è un partito “leninista”, che Salvini in questi anni ha plasmato a propria immagine e somiglianza. Le ultime liste sono state il repulisti finale. Il Capitano quindi va avanti e non ha alcuna intenzione di sottoporsi a un processo interno. Anzi. L’analisi del tracollo è presto fatta: «È chiaro che da un punto di vista politico è stata premiata la scelta di Fratelli d’Italia di stare all’opposizione. La Lega ha fatto una scelta diversa perché il paese era in ginocchio e ha scelto di dare vita al governo Draghi. Una scelta che rivendico perché in quel momento il Paese aveva bisogno di responsabilità. Ma adesso governiamo noi e saranno cinque anni intensi».

Zaia fuori dal coro
Unica voce fuori dal coro – un coro a dir la verità muto e silente – è stata quella del governatore del Veneto Luca Zaia che ha parlato di “risultato assolutamente deludente” per cui “non bastano semplici giustificazioni”. Questo è un «momento delicato per la Lega ed è bene affrontarlo con serietà perché è fondamentale capire fino in fondo quali aspetti hanno portato l’elettore a scegliere diversamente». Il j’accuse di Zaia non ha sortito effetti. Il governatore si è riunito con Salvini e gli altri Presidenti di regione nel primo pomeriggio. Il segretario ha tirato diritto e non accetta critiche né ulteriori analisi della sconfitta. Ma teniamo da una parte questa parole insieme con il malcontento della base leghista veicolato tramite social. È una linea di frattura che potrebbe riemergere presto.

Le parole di Meloni
Prima di Salvini, nella notte, aveva parlato Giorgia Meloni che, celebrato “l’orgoglio” della vittoria, la gioia delle “lacrime e degli abbracci” e la “memoria di chi non c’è più”, è subito entrata nel ruolo di premier in pectore che dovrà guidare il paese in un momento molto difficile. «Lo faremo nell’interesse di tutti e con la massima responsabilità», ha promesso ringraziando Salvini e Berlusconi «perché tutti in questa campagna hanno dato il massimo» e chiedendo subito «una corretta collaborazione alle opposizioni». Quindi non quella che Fratelli d’Italia ha assicurato in questi anni all’opposizione. Ieri la leader di Fratelli d’Italia è scomparsa dalle telecamere per assumere il profilo istituzionale silenzioso che necessita in questa fase.

Il buongiorno le è stato servito via social con i complimenti speciali e gli evviva di Viktor Orban e Marine Le Pen che hanno fatto piazza pulita in poche parole dei faticosi distinguo di queste settimane circa la vicinanza ai due leader sovranisti e di destra. Meloni ha scelto di non replicare alla prima ministra francese Elisabeth Borne che ha promesso “vigilanza attiva sul rispetto e la tutela dei diritti in Italia”. Nessuno di questi complimenti e avvisi depone per la costruzione di un profilo internazionale della nuova premier. Lo ha fatto il suo stato maggiore. «Nessuno rischio per i diritti civili», hanno replicato i neoeletti Lollobrigida e Donzelli, «la 194 sarà applicata interamente e i bambini avranno un’educazione sessuale come si deve».

Berlusconi eletto senatore
Berlusconi ha parlato per ultimo. Non a caso. Tornerà da senatore eletto in quel palazzo che ne votò la decadenza il 27 novembre 2013 in applicazione della legge Severino dopo la condanna per frode fiscale. Per il Cavaliere è il risarcimento cercato negli anni. Missione compiuta, quindi. E non solo per questo. Il presidente di Forza Italia ha rivendicato la tenuta di Forza Italia (“siamo radicati nel cuore degli italiani”), ha sottolineato che «la forte crescita di Fratelli d’Italia non è avvenuta ai nostri danni» (della serie se la vedano Salvini e Meloni) e di aver respinto l’assalto dei centristi (Renzi e Calenda con un buon 7,8% non hanno sottratto voti a Forza Italia). Ha soprattutto voluto sottolineare di essere «determinante per un centro-destra di governo, sia dal punto di vista dei numeri che dal punto di vista politico. Questo ci impegna, come membri italiani del Ppe, a garantire il profilo internazionale, il profilo europeista, liberale ed atlantico del prossimo governo».

“Governo monocolore”
In questo contesto non sarà così facile per Giorgia Meloni fare quel governo “praticamente monocolore al netto di un paio di profili tecnici” di cui parlavano ieri alcuni suoi fedelissimi. Nessun dubbio che sarà lei ad avere l’incarico, ma sulla squadra di governo è chiaro che sia Salvini che Berlusconi vorranno avere voce in capitolo. E non è detto che le cose vadano così. «Escludiamo che Berlusconi possa essere presidente del Senato – spiegava ieri sera una fonte di Fratelli d’Italia – palazzo Madama dovrebbe essere assegnato a Calderoli e la Camera a Forza Italia». Da escludere anche che Salvini possa fare il ministro dell’Interno (“è unfit per questo incarico”). Se Forza Italia potrà avere Tajani ministro degli Esteri a mo’ di assicurazione sulla vita con il Ppe, è possibile che alla Lega vada l’Agricoltura (il candidato è Centinaio) e che venga riconfermato Giorgetti per dare continuità al Ministero dello Sviluppo economico. Sarà complesso trovare un ruolo idoneo per Salvini. Ma il leader della Lega ignora tutte queste difficoltà. E di sicuro anche Berlusconi non prenderà bene di essere messo da parte. Poi magari Meloni saprà essere così generosa nel momento della vittoria da preferire la pax interna a quote di potere. Sarà, questa, la partita delle prossime settimane.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.