Arriva serafica la notizia che dal 9 aprile al 14 le scuole resteranno chiuse per le vacanze di Pasqua. Non sono d’accordo. A dire il vero sono settimane che le scuole sono “chiuse” e le lezioni riprese, a ranghi ridotti, più o meno dieci giorni dopo la serrata generale necessaria per salvaguardare la salute pubblica. Ci eravamo quasi disabituati all’arrivo di ricorrenze come la Pasqua perché, in tempo di pandemia, l’irrealistica sospensione ci estranea un po’ dallo scorrere degli eventi. È stato certamente apprezzabile lo sforzo immenso da parte del corpo docente per trovare, spesso sulle proprie spalle e scontrandosi con un sistema non certo familiare allo sviluppo tecnologico, un modo per adattarsi al nuovo sistema di lezioni; ed è stato altrettanto apprezzabile lo sforzo delle famiglie.

Ben vengano gli aiuti a quelle che non hanno strumenti digitali adeguati decisi dal Governo. Tutto questo fa parte di uno specifico patto tra le famiglie e la scuola che negli anni ha garantito di mantenere un livello altissimo alla qualità educativa e formativa delle giovani generazioni. Questo accordo tuttavia ha messo in evidenza la scelta di operare sconsiderati tagli alla spesa per l’istruzione e mantenere basse le retribuzioni degli insegnanti. Questa ideologia – altro che caduta delle ideologie… – ha permeato molti dei settori primari per lo Stato, come del resto prevede la Costituzione e stabilisce la legislazione successiva, ad essa assimilabile.

Quando questi settori vengono indeboliti e anche esternalizzati, come è accaduto in questi anni con leggerezza e compiacenza nel voler superare un modello tradizionale di Stato Sociale, determinano delle sperequazioni fra i cittadini che sono il chiaro segnale di arretramento. La necessità di attuare una selezione tra le priorità che sono dello Stato perché garantiscono l’effettività dei diritti fondamentali è quanto mai diventata attuale, ed i prezzi che si stanno pagando per l’assunzione di questa consapevolezza sono immensi.

Quel patto tra scuola e famiglia ci avrebbe fatto immaginare che in questo momento in cui la routine dell’istituzione scolastica si è improvvisamente interrotta, sarebbe stato utile che la scuola non chiudesse se non per i giorni canonici di festa (Pasqua, Pasquetta) e che continuasse a tenere negli altri giorni quel filo sottile che àncora le studentesse e gli studenti ad una loro realtà perduta, o quanto meno interrotta. La presenza delle lezioni, anche in questa formula molto impersonale, non solo permette alle giovani generazioni di sentire la presenza della loro principale attività intellettuale e luogo di relazioni umane, ma è anche la prova dell’impegno da parte dell’istituzione scolastica e della forza di un accordo che assicura lo svolgersi di un esperimento educativo che coinvolge tutti i centri di riferimento.

Nello scenario di non riapertura delle scuole fino alla fine dell’anno scolastico, sono le famiglie ad assumere su di loro il maggior peso di questa situazione. Non sarà la fine del mondo e non saranno dei somari i giovani che perdono sostanzialmente la seconda parte di un anno scolastico, perché l’indiscussa intelligenza e capacità consentirà loro di recuperare, ma certo è una esperienza che lascerà delle tracce importanti nel vissuto di ognuno. Avremmo preferito che il messaggio della scuola alle famiglie fosse stato di condivisione e aiuto perché gestire da soli un’ulteriore settimana crea un senso di scoramento soprattutto per quelle famiglie che già partivano da una situazione di difficoltà.