Non potevamo accomiatarci da Voi, cari lettori (per la sola pausa estiva, beninteso) in nessun altro modo che pronunciando, con tutto il fiato che abbiamo in corpo, la parola più impronunciabile di questo Paese: AMNISTIA. Chiunque si occupi dei problemi della giustizia italiana, che sono tanti, complessi ed impellenti, sa che il tema del sovraffollamento carcerario è una bomba da tempo innescata, destinata inesorabilmente ad esplodere di fronte alla irresponsabile inerzia della politica. Lo spettacolo parlamentare di queste ultime ore è la penosa messa in scena di questa pervicace ed ottusa irresponsabilità politica, fondata sul fraintendimento tra intransigenza punitiva e banalissima incapacità di governare fenomeni ed emergenze che lo Stato – ecco il punto – ha il compito esclusivo di risolvere.

La dimensione surreale del dibattito sta tutta qui. Il “governo della fermezza carceraria”, baldanzosamente guidato dal nostro Ministro Liberale della Giustizia, si pone davanti al tema del sovraffollamento con l’atteggiamento di chi, assediato da una folla di criminali furbescamente impegnata a trovare in qualche modo la strada per sottrarsi al debito che ha contratto con la società, risponde sprezzante: “’cca niusciun’ è fesso”. Noi siamo quelli con la schiena diritta, siamo quelli della “certezza della pena”, non ci facciamo fregare da voi furbacchioni. Trascurano, gli intransigenti, un piccolo dettaglio: lo Stato è il custode dei suoi detenuti. Il che implica che le modalità di organizzazione ed esecuzione di questo compito istituzionale grava – come dire – unilateralmente sullo Stato, del tutto a prescindere dalle storie di ciascuno degli ospiti delle patrie galere. Non è un tema oggetto di negoziazione con i detenuti, come se stessimo discutendo delle ore da destinare alla socialità, o della presenza di qualche ventilatore nelle celle.

Qui parliamo di un fondamentale compito istituzionale che lo Stato ha il dovere di assolvere secondo parametri minimi di civiltà che la CEDU ha avuto ripetutamente modo di dettagliare: numero massimo di persone per metri quadri, riservatezza e capienza dei servizi igienici. Fermiamoci a questi due parametri basici, dimentichiamoci i voli pindarici, che sembrano appartenere al mondo delle favole, sul lavoro in carcere, la socialità, e bla bla bla. Figuriamoci, roba di lusso, poi arrivano i soliti imbecilli a straparlare di albergo a tot stelle, lasciamo perdere. Almeno quei due parametri devi assicurarli, e se non sei in grado di farlo dopo tutti questi anni, il problema è tuo, dello Stato, in via esclusiva. Se non sei in grado di assicurare quei parametri basici di civiltà, c’è una sola soluzione: devi diminuire il numero delle persone detenute. Punto. Non è cosa difficile da comprendere, e il tema della “certezza della pena” (Beccaria li perdoni) qui c’entra come il cavolo a merenda.

Ora, che la responsabilità non sia esclusiva di questo governo e di questa maggioranza, è del tutto pacifico. Anzi, a mio avviso proprio coloro che avevano virtuosamente studiato il caso e le soluzioni possibili (ricordate gli Stati Generali della esecuzione penale?), buttando poi a mare tre anni di lavoro per paura di esserne travolti elettoralmente, hanno forse le responsabilità maggiori. E quindi? Una volta celebrata la solita solfa di “e allora le Foibe?”, cosa dovremmo conseguirne? Oggi c’è un Governo, una maggioranza ed un Ministro che hanno l’onere di dare una risposta, e di disinnescare quella bomba. Invece di agitare, come mosconi nel bicchiere di vetro, i fantasmi della “certezza della pena”, si persuadano. Per ogni giorno che passa, la parola impronunciabile, la bestemmia oltraggiosa si staglia all’orizzonte come l’unica salvezza possibile. Prima lo capite, meglio sarà, innanzitutto per Voi: AMNISTIA.

P.S.: PQM se ne va in ferie, meritate dopo 34 numeri. Speriamo, e pensiamo, di non avervi delusi. Ci rivediamo il 21 settembre!

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