Gli incidenti del 2019 a piazza San Carlo, a Torino, costati la vita a due donne e il ferimento di 1500 persone, portano a una condanna dura, un anno e sei mesi di detenzione, per la sindaca Chiara Appendino. Ma è una sentenza di primo grado, la Sindaca farà appello e si guarda bene dal dimettersi, appoggiata dai più autorevoli guardaspalle del Movimento: già ieri Marco Travaglio, torinese, aveva dettato sul Fatto l’arringa difensiva: assurdo condannarla per una responsabilità che non poteva assumere, il senso delle sue parole. «Che avrebbe potuto fare Appendino se non vietare preventivamente la manifestazione?», si chiedeva.

Tuttavia la macchina della giustizia gira come gira, inchiodando i Sindaci a ogni tipo di responsabilità civile e penale. Ed eccone il risultato. È la stessa sindaca a dirsene amareggiata. «La tesi dell’accusa, oggi validata in primo grado dalla Giudice, è che avrei dovuto prevedere quanto poi accaduto e, di conseguenza, annullare la proiezione della partita in piazza», ribadisce Appendino. Che non nasconde di essere segnata dalla vicenda. «Quei giorni e i mesi che sono seguiti, sono stati i più difficili sia del mio mandato da sindaca sia della mia sfera privata, personale». Ma qui si apre una riflessione che finalmente si intesta una esponente del Movimento che fino a ieri agitava le manette per tutti e le dimissioni immediate, al primo avviso di garanzia: «La carica istituzionale che ricopro comporta indubbiamente delle responsabilità, alle quali non ho alcuna intenzione di sottrarmi. Proprio sul difficile ruolo dei sindaci, sui rischi e sulle responsabilità a cui sono esposti, forse andrebbe aperta una sana discussione».

Silvia Fregolent, deputata torinese di Italia Viva, entra nel merito: «Noi come IV dicemmo da subito che qualcosa non andava sui commenti fatti da Chiara Appendino sulla sola responsabilità di Torino Eventi e non della propria. Da subito parlammo di responsabilità politiche, e di come la cattiva gestione di quell’evento avesse segnato l’inizio del declino della città». Appendino è a fine mandato, per la sua successione Pd e M5S mantengono l’idea di un candidato unitario. «Sbagliando», chiosa Fregolent. Circola l’idea di far slittare la tornata delle amministrative in autunno, davanti al persistere della pandemia e alle vaccinazioni a rilento. Appendino godrebbe dunque di una estensione del suo mandato. Anche il responsabile giustizia di Azione, il deputato e avvocato Enrico Costa, cuneese, ha frequentato piazza San Carlo negli anni dell’università.

«Sono molto colpito da una condanna che attribuisce ad un Sindaco una responsabilità organizzativa che prevede l’imprevedibilità dell’evento». Aggiungendo un punto più politico: «I suoi compagni di partito, se fosse capitato a qualche loro avversario, avrebbero sollevato un polverone e chiesto cento passi indietro. Noi no: le auguriamo di far valere in appello la sua innocenza». La sentenza-choc qualche merito ce l’ha. Suona la sveglia tra i Cinque Stelle, che scoprono oggi (meglio tardi che mai) cosa significa amministrare. Anche il viceministro al Mise grillino, Stefano Buffagni, se ne rende conto: «Questa vicenda rischia di portare qualsiasi amministratore e dirigente pubblico, non solo sindaci o figure apicali istituzionali, a temere per ogni decisione da prendere e quindi a non fare. Dobbiamo come parlamentari e legislatori aprire una seria riflessione sulla tutela dei sindaci e degli amministratori». E il sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, presidente delle Autonomie Locali Italiane: «È assurda una legge che scarica sui sindaci responsabilità che oggettivamente non possono avere. Ogni sindaco oggi è Chiara Appendino».

Una inversione da capogiro che fa dire a Matteo Salvini che «ora va bene tutto, a sinistra e grillini: i guai giudiziari non sono più un problema». Solo quindici giorni fa era arrivata la sentenza della Cassazione sulla strage ferroviaria di Viareggio – il deragliamento di un treno che trasportava Gpl – operante distinguo importanti: il processo a Moretti va rifatto, aveva deciso la Corte suprema, perché l’impianto accusatorio faceva acqua da tutte le parti. E l’ad di Ferrovie era alla sbarra non per un atto commesso ma per l’incarico professionale rivestito.

A quella decisione era seguita la furia dei parenti delle vittime, corroborata dalle dichiarazioni dello stesso Salvini e dei Cinque Stelle, oltre che del Pd: tutti scandalizzati e uniti nel pretendere pene severe per i vertici dell’azienda. Il Fatto di Travaglio aveva titolato: “Giustizia & impunità: la strage di Viareggio senza colpevoli”. Una riflessione seria va fatta sul ruolo degli amministratori, tutti.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.