Apple apre il 2022 con il botto. La settimana scorsa è diventata la prima azienda a raggiungere una capitalizzazione di mercato di 3 trilioni di dollari. Un exploit che cade a 15 anni esatti dalla presentazione del primo iPhone – Steve Jobs lo presentò il 9 gennaio 2007 al MacWorld di San Francisco – l’oggetto che ha rivoluzionato il mercato globale della telefonia, diventando esso stesso sinonimo di smartphone così come la Jeep per i fuoristrada. Oggi l’iPhone è un fenomeno endemico, con folle di adepti in fila per acquistarlo a ogni nuovo aggiornamento. Un oggetto capace di definire la nostra identità sociale e di travolgere le abitudini delle persone e le strategie dei concorrenti.

Non a caso, il 2022 comincia pure con la sparizione di Blackberry, un ormai ex concorrente della “Mela morsicata”, fino a 20 anni fa monopolista dello stesso mercato: la morte definitiva dei suoi smartphone è arrivata il 4 gennaio, con la fine del supporto a tutti i suoi sistemi operativi. Una storia gloriosa si chiude definitivamente. E pensare che era stato proprio Steve Jobs, anni fa, a consigliare al concorrente di “uscire dalla sua zona di comfort”. Ma per la celebre “Mora” non c’è stato nulla da fare. Viceversa, Apple registra un ulteriore primato, grazie anche ai lockdown che hanno sovralimentato tutte le Big Tech durante la pandemia: negli ultimi 16 mesi l’azienda ha aumentato il suo valore di 1 trilione di dollari. Apple è diventata un’azienda da 1 trilione di dollari nell’agosto 2018 e due anni dopo è diventata la prima azienda a raggiungere i 2 trilioni. Ha perso per un po’ il titolo di azienda leader a favore di Microsoft alla fine di ottobre 2021, ma una forte impennata a novembre ha ripristinato la sua primazia. Dal 15 novembre ha aggiunto mezzo trilione di dollari al suo valore di mercato. Solo poche aziende valgono più di 1 trilione di dollari, a partire da Tesla e Amazon. Alphabet, che è la società madre di Google, e il gruppo petrolifero Saudi Aramco hanno un valore di circa 2 trilioni di dollari, mentre il valore di mercato di Microsoft è di circa 2,5 trilioni.

Le azioni di Apple sono cresciute oltre il 30% l’anno scorso superando brillantemente la crisi delle catene di approvvigionamento (che hanno messo alla prova le consegne dei regali di natale) e hanno beneficiato della domanda aggiuntiva di iPhone, Mac e iPad durante i lockdown quando i clienti hanno attrezzato i loro uffici domestici. E pensare che, dopo la morte di Steve Jobs, in pochi avrebbero scommesso sul successo della compagnia tecnologica. Jobs fu cacciato nel 1985 e da allora l’azienda aveva subito un crollo dal quale si sarebbe rialzata soltanto nel 1997 con il ritorno del fondatore. Molti pertanto nella scomparsa di Jobs nel 2011 lessero l’inizio della fine. Come ricorda Tripp Mickle nel suo libro After Steve, una storia degli ultimi 10 anni di Apple a breve in uscita nelle librerie americane, il suo successore, Tim Cook, era circondato dallo scetticismo. Mai previsione fu tanto sbagliata.

Il trionfo di Cook come successore di Jobs è stato impareggiabile. Il valore di mercato di Apple è cresciuto di oltre 700 milioni di dollari al giorno da quando Cook è diventato amministratore delegato nell’agosto 2011. Sotto la sua guida, i ricavi annuali di Apple sono aumentati dai 108 miliardi di dollari del 2011 ai 365 miliardi del 2021. Gli utili netti sono cresciuti di 3,7 volte, da 26 a 95 miliardi di dollari. Certo, Apple ha goduto di un decennio fantastico per le aziende tecnologiche. Il valore di mercato di tutte le Big Tech in questi anni cresciuto esponenzialmente: Microsoft ha guadagnato 2,1 trilioni di dollari, Alphabet 1,6 trilioni, Amazon 1,5. Tuttavia, la posizione di testa è occupata da Apple circa 2,7 trilioni. Ancora, la compagnia ha goduto pure della forza d’inerzia dell’era degli smartphone inaugurata dall’indimenticato fondatore. Ma tutto questo non basta per spiegare il successo: le tendenze del mercato prima o poi rallentano o si esauriscono. La verità è un’altra (e oggi la riconoscono anche i più fedeli ammiratori di Jobs): lo straordinario boom di mercato di Apple si deve alle nuove strategie dell’attuale amministratore delegato.

Steve e Tim, insomma: due personalità, due stili, due successi molto diversi. La “seconda venuta” di Jobs, dal 1997 al 2011, aveva fatto di Apple l’arma della distruzione creatrice del mercato: innovazioni inedite e dirompenti – iMac, iPod, iPhone e iPad – in grado di stravolgere settori chiave dell’economia digitale e di garantire il trionfo globale del brand. Il successo di Cook ha caratteristiche diverse. “Il più grande successo di Tim Cook è la creazione e la promozione di servizi”, spiega Mickle nel suo volume. Il primo decennio di Cook è stato segnato dagli AirPods e dall’Apple Watch, due grandi successi con quote di mercato rispettivamente del 25% e del 31%. Ma il peso dell’offerta di servizi si è rivelata per l’azienda molto più consistente. I servizi di Apple hanno prodotto nel 2021 quasi 70 miliardi di dollari di entrate, riducendo la dipendenza dell’azienda dai prodotti (Mac, iPad, iPhone o dispositivi indossabili): Cook ha costruito un colosso dei servizi basato sull’ecosistema Apple, capace di stimolare un flusso costante di entrate dalle commissioni dell’App Store e quasi 800 milioni di clienti.

Insomma, Cook non ha inventato nuove avanzate tecnologie, ma Apple dovrà sempre ringraziarlo per aver consolidato una formidabile e remunerativa piattaforma di servizi. “Apple ha un ecosistema senza eguali. È l’azienda che ha resistito meglio ai diversi attacchi alle Big Tech”, assicura Dan Wang, professore di economia alla Columbia University. Steve Jobs, puntando tutto sull’innovazione di prodotto si esponeva a ricavi volatili, legati alle tendenze, come quelli di un’azienda di moda. Viceversa, spiega Wang, “Tim Cook ha portato Apple fuori dal circolo vizioso che ti obbliga ogni volta a sfornare un nuovo prodotto di successo”. Nell’ultimo decennio, così, l’utile per ciascuna azione di Apple è aumentato di 5,6 volte. Mentre la capitalizzazione di mercato di Apple è cresciuta di nove volte in 10 anni e i prezzi delle azioni sono aumentati di 14 volte nello stesso periodo. Inoltre, gli azionisti di Apple dell’era Cook hanno guadagnato il 33% all’anno per un decennio. Secondo il Financial Times, se il giorno in cui Cook è stato nominato amministratore delegato qualcuno avesse investito 10 mila dollari e avesse reinvestito tutti i dividendi quella somma varrebbe oggi più di 200 mila dollari.

Ovviamente, anche il portafoglio personale di Tim Cook ne ha beneficiato. Secondo Cnbc News, il Ceo di Apple ha ricevuto 98,73 milioni di dollari di compenso nell’anno fiscale 2021. La paga di Cook comprende tre milioni di dollari di stipendio, 12 milioni di dollari di bonus per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità finanziaria e ambientale dell’azienda, 1,39 milioni di dollari di altri compensi (viaggi, sicurezza, premi assicurativi, rimborsi) e ben 82,35 milioni di dollari in premi azionari. Questi premi in azioni, non ancora acquisiti, sono divisi in due parti. La prima è costituita da 333.987 azioni di Apple, del valore di 37,5 milioni di dollari, che matureranno in tre rate annuali a partire dal 2023. Cook riceverà queste azioni anche se andrà in pensione. La seconda parte comprende pure 333.987 azioni di Apple, che potrebbero raddoppiare o crollare a zero in base alla performance delle azioni di Apple.

Ma Tim Cook può contare su un altro valore nascosto: la sua diplomazia (qualità che, viceversa, difettava a Steve Jobs). Nella Ue, per esempio, Cook ha scongiurato interventi pesanti della Commissione europea mostrando sensibilità per la privacy dei consumatori. In Cina, è stato abile nella firma di accordi per l’espansione di una massiccia presenza manifatturiera: ha così realizzato nel paese del Dragone un business da 68 miliardi di dollari, molto più redditizio di qualsiasi altro rivale tecnologico. Durante gli anni dell’amministrazione Trump ha scongiurato aumenti di tasse sui prodotti Apple coltivando una stretta relazione personale con The Donald e assecondandone il narcisismo. Infine, ha in gran parte evitato di seguire Google e Facebook nella monetizzazione dei dati dei suoi utenti: una scelta che ha accresciuto la stima e la fiducia nei confronti della compagnia. Ciononostante, è impossibile che Tim Cook si vanti in giro di queste capacità e di questi risultati. Tutt’al contrario del collega Elon Musk, l’ad della Mela è anche un campione di sobrietà.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient