«Siamo davanti a grandi novità. Bisogna diventare adulti, davanti a quello che sta succedendo. Non si tratta di prendere un pullman, di andare da qualche parte, o con qualcuno. Bisogna diventare altro da sé. Crescere. Guardare avanti». Parla di sfide epocali, Bobo Craxi. Tra i massimi dirigenti socialisti degli ultimi vent’anni, si interroga sull’iniziativa che l’area liblab, liberale e laburista, deve assumere oggi.

Esiste uno spazio autonomo del centro o i riformisti devono stare a sinistra?
«Renzi, che non è un leader ideologico ma rappresenta un partito di fatto personale, si era già alleato con due forze di centrosinistra che sono +Europa e il Psi. La rottura del terzo polo è già stata sancita dalla presentazione divaricata del vecchio terzo polo».
Dunque, è giusto che Italia Viva porti il suo supporto, il suo contributo alla sinistra…
«Il problema non è quello di trasferire una dote, che peraltro non è neanche interamente sua. Non è quello che conta o serve».

Di che cosa ci parla, questa svolta?
«Renzi avverte che i progetti che hanno avviato un cambiamento in Occidente sono rapidi e vanno accompagnati con lungimiranza. A sistema elettorale dato, è evidente che il campo dove le culture riformiste hanno spazio è quello del centrosinistra democratico»
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Bisogna fare come in Francia, il nuovo frontismo?
«Le sommatorie di sigle non funzionano. E il frontismo non porta fortuna. Bisogna guardare alla sostanza, alla capacità di governo di una coalizione. Per capirci: il PSI di mio padre aveva programmi molto distanti dalla destra repubblicana o dalla destra democristiana. Eppure seppe costruire con loro alcuni dei governi più stabili. Bisogna lavorare sulle convergenze, e ci vuole un metodo, questo sì, riformista. E ci vuole del tempo perché le cose maturino».

Dunque non pensa anche lei che si vada a votare a breve…
«Al momento sappiamo che si voterà nel 2027 e si voterà con un sistema elettorale ben definito. Dobbiamo ragionare con quello che c’è. Poi sì, si può auspicare che si voti prima. Sappiamo che nel Paese sta aumentando l’opposizione nei confronti del governo Meloni. Se la premier sarà sconfitta al referendum, la tappa successiva saranno le elezioni anticipate».

È in questo frangente che va costruito il nuovo soggetto riformista?
«Bisogna esercitare la carica positiva dei riformisti. Risparmiandoci tutti questo stucchevole processo retroattivo nei confronti di Renzi: lui e Calenda sono costole scissioniste del Partito Democratico. Come tutte le scissioni, sul terreno rimangono delle ferite. Se si riescono a guarire, a rimarginare, si torna in piedi e si riprende a correre. Forse perfino a vincere».

Quale soluzione ha in mente?
«Una coalizione di centrosinistra che non sia l’Union Sacrée, né il nuovo frontismo».

Un nuovo centrosinistra con l’aggiunta di una forza della sinistra riformista?
«Sì, per il quale va disegnato un abito su misura per la nostra area, ma che decidiamo noi e non i nostri potenziali alleati. Quello che vedo è il socialismo in chiave nazionale. Un Partito cerniera essenziale fra le aree moderate e quelle progressiste. Un Partito di Governo e non un Partito di protesta e di sola opposizione. Una riflessione che deve fare lo stesso Renzi».

Il riformismo liberale italiano …
«No. Ci confonderebbe. Io vedo il riformismo come metodo e non come qualifica di contenuto politico. Non è un fondamento ideale. E poi non servono solo progetti di riforma, per le emergenze servono posizioni politiche. Sull’Europa federalista. Sulla crisi climatica. Sull’aggressione russa e sulla pace giusta in Medio oriente. Pace e sicurezza per tutti. Non servono riforme ma prese di posizione politica forte».

Quale deve essere il programma?
«Va definito qual è l’interesse nazionale: l’europeismo, l’autonomismo da Usa e Cina. Il garantismo. Il laburismo di chi guarda ai problemi del nuovo lavoro come a una priorità. I diritti, l’emergenza ambientale che richiede interventi radicali. Chi si rivede in queste priorità di intervento politico si dia da fare per mettere insieme le forze».

Come si mette a terra quest’iniziativa?
«Facendo dell’esperienza della lista Stati Uniti d’Europa il soggetto promotore di una federazione che assuma un nome e una prospettiva diversa. Socialisti, radicali e renziani si mettano insieme per dare vita ad un grande partito laburista italiano. D’altronde Renzi non è membro della fondazione di Blair? Chi, meglio di Blair, ha rappresentato la punta avanzata del socialismo riformista europeo?».

Quale sarebbe la differenza con il progetto della Margherita?
«Deve essere una cosa nuova, inedita. Con un timbro chiaro sulla famiglia di appartenenza europea, e che replichi l’unione tra le forze che si sono unite in Francia: i socialisti lì si sono messi insieme con il movimento di Glucksman, che veniva da destra. Eviterei le analisi del sangue».

Il mondo riformista ha avuto un grande statista, padre dell’autonomismo socialista, Bettino Craxi…
«Sì, e governava in coalizione. Dobbiamo saper definire molto bene la nostra identità, darle forza e contenuti. Ma dobbiamo anche definire il campo nel quale questa identità vive e funziona».

Qual è il valore aggiunto che portereste ad una alternativa alla destra che governa?
«Una nettezza della traiettoria, laburista e europeista. E l’esperienza di governo. Quella nostra ma soprattutto quella di Renzi, che peraltro è stato il segretario Pd che lo ha riportato nel gruppo socialista al Parlamento europeo. Insieme possiamo cambiare la politica e rimettere il Paese tra i protagonisti dell’Europa migliore».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.