Il leader nel simbolo, il leader in lista: l’effetto-traino dei numeri uno è testimoniato da un’ampia letteratura politica. Alle Europee non a caso Elly Schlein e Giorgia Meloni, come pure Antonio Tajani e Carlo Calenda saranno in corsa con i loro nomi in lista. La polemica divampa: è lecito candidarsi per poi – una volta eletti – fare marameo agli elettori e rinunciare a quel seggio? La legge non ammette doppi incarichi. Ma chi dice di sì osserva che si è sempre fatto. E che l’infingimento in realtà non è tale, posto che gli eletti e i gruppi europei risponderanno comunque ai leader del partito che li ha portati a Bruxelles. Non fa una piega anche il ragionamento di chi fa notare che il voto non è un esercizio di stile ma una misurazione di consenso.

Serve portare più voti possibili alle proprie idee, per sostenere una certa idea di Europa. E poi, visto che di europee parliamo, va ricordato che il voto si esprime tramite preferenze: il meccanismo premiante è dunque ancorato alla notorietà dei candidati, alla popolarità dei loro nomi e cognomi. A valle del caso Meloni, che si candida precisando sulla scheda che risulterebbe valido anche solo il nome “Giorgia”, il tema merita un supplemento di riflessione nell’area centrista degli Stati Uniti d’Europa. Se è vero che la lista – frutto di un accordo elettorale tra +Europa, Italia Viva, Psi, Libdem, Radicali Italiani e Italia C’è – ha già presentato i suoi capilista per i cinque collegi nei quali è suddivisa l’Italia elettorale, è vero anche che in una manciata di ore vanno presentati i candidati che comporranno poi l’intera lista.

E tra questi ce n’è uno la cui assenza – direbbe Nanni Moretti – è più acuta presenza. Matteo Renzi. L’ex presidente del consiglio, ex segretario del Pd, ex sindaco di Firenze, enfant prodige che ha cambiato il volto della politica italiana negli ultimi dieci anni, non figura tra i candidati. Ma non scioglie ancora la riserva: sarà in lista o no? Le chat di Italia Viva, inutile dirlo, ribollono. Si leggono i commenti dei “vivaci” che lo spingono a varcare il Rubicone e a mettere il suo nome in lista. Ma anche quelli di altri, pur fedelissimi, che invitano alla calma: “Una strategia c’è, Matteo ne ha sempre una in testa”, si legge. E però il momento di presentare le liste è arrivato. Andiamo in tribunale: un foglietto affisso sul portone annuncia che quest’anno la scadenza manderà di traverso perfino l’intoccabile 1 maggio per qualche funzionario: “Per la ricezione delle liste, la Cancelleria resterà aperta nei giorni di martedì 30 aprile e mercoledì 1 maggio pp.vv. dalle ore 8.00 alle ore 20.00”.

E poi sarà campagna aperta, anche perché al voto dell’8 e 9 giugno mancheranno cinque settimane appena. Un periodo breve – e intenso – nel quale agli elettori dovranno entrare in testa i nomi dei candidati. Per la lista Stati Uniti d’Europa, facile scrivere Emma Bonino. Più difficile invitare a votare Graham Watson. Ma l’effetto Renzi ci sarebbe? Secondo i sondaggisti sì, e non sarebbe di poco conto. “Renzi in lista vale un 2% in più”, ci dice il sondaggista Fabrizio Masia, Emg. Stessa valutazione da parte di Antonio Noto, Noto Sondaggi: “Renzi pesa tra 1 e 3 punti. Meloni è quella che traina di più, ma anche Renzi: con lui candidato, la lista Stati Uniti d’Europa sarebbe più forte”. Ma attenzione, c’è una variabile: “L’effetto traino si ha se il leader è candidato in tutte le circoscrizioni (Meloni). Diverso se si candida solo in una (Schlein). Così si perde l’effetto-traino”.

Da non sottovalutare. Perché è in ogni caso complesso, e costoso, articolare una campagna elettorale che include quattro regioni e deve puntare a far memorizzare i nomi nuovi a un minimo di 50.000 elettori. Motivati, informati, precisi. Tanti ne servono – dati alla mano – per eleggere un candidato alle Europee, posto che la sua lista superi il 4%. In Forza Italia, dove si sono posti l’identico problema, con una Letizia Moratti molto nota al Nord Ovest, lo scorso 20 aprile il leader Tajani ha rotto gli indugi: “Ho deciso di candidarmi alle elezioni europee, mia moglie mi perdonerà”, ha dichiarato, strappando un sorriso. Ora la ‘lista di scopo’ Stati Uniti d’Europa – nata di fatto il 24 febbraio scorso, con un’assemblea partecipata che Renzi vinse di gran lunga, all’applausometro – è chiamata a fare la stessa valutazione. Pare che negli ambienti degli ex radicali vi sia qualche ritrosia ad inserire, buon ultimo in lista, il nome di pur grande richiamo del leader di Italia Viva. Di certo, una trattativa in questo senso è in corso.

E potrebbe non essere l’unica. Perché il nome di Matteo Renzi fa gola a molti. Anche Oltralpe. Lo scorso 25 aprile in un solenne “Discorso sull’Europa” all’università parigina della Sorbonne è stato lo stesso presidente della repubblica francese, Emmanuel Macron, a parlare di Renzi nell’ambito di un ragionamento sulla cultura.
Il presidente francese ha fatto riferimento al Bonus 18app, noto anche come “Bonus Cultura”, lodando l’iniziativa renziana. Una investitura pubblica e solenne che in Francia non è sfuggita ai commentatori. Qualcuno avanza una ipotesi: e se Renzi venisse invece candidato in Francia, nella lista macronista di Renaissance (nome, ispirato al Rinascimento, che troverebbe nel leader fiorentino un compimento)? C’è il precedente di Sandro Gozi. E in Francia le regole consentirebbero di essere eletti con il listino bloccato, senza le preferenze che abbiamo in Italia. Ecco che la campagna “Volare alto” troverebbe un compimento europeo.
D’altronde la lista Stati Uniti d’Europa si predisporrebbe a ricambiare il favore candidando – dopo aver messo l’inglese Watson capolista al Nord Est – il giornalista francese Eric Joséph per il collegio dell’Italia Centrale. Europeismo applicato, politica transfrontaliera.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.