Una visione psichedelica della politica
Calenda inventore instabile del Calendoscopio, mette in disordine quando le cose hanno un senso: per un partito libdem non ci si può contare

Renzi non ne ha più voglia, dice Claudio Velardi nel suo editoriale, invitando il leader di Italia Viva a non prendere in giro i riformisti, addossando strumentalmente a Carlo Calenda la responsabilità del fallimento del progetto centrista. Va bene, c’è un potenziale elettorale che arriva a tre milioni di voti, che in alcune più fortunate situazioni come quella di Milano, promette fino al 13%. Va bene, c’è la necessità di una forza liberaldemocratica che riporti la politica fuori dalla vanvera populista nella quale si è impantanata, tanto a sinistra quando a destra. Va bene, c’è il vuoto dell’astensionismo a mostrare un deserto di proposte serie, da riempire. Va bene, c’è anche un Renzi che non è geneticamente fatto per stare nell’ombra.
Ma il bipolarismo non è una costruzione retorica e non è una scusa per giustificare un presunto disimpegno. È una realtà con la quale la politica utile e seria deve fare i conti per prima: si tratta di essere realisti e trovare finalmente la formula per incidere, non di fare i cespugli. Il primo che sembrava averne preso atto – del resto – è proprio Calenda, quando nell’immediato post-europee e post voto francese aveva detto chiaramente che lo spazio da occupare era giocoforza nel perimetro del centrosinistra. Ma ora che anche in Italia Viva si ragiona in quel senso, rifiuta la lettera di Costa e Marattin, rifiuta la prospettiva delle primarie di area sulla quale ormai tutti si erano ritrovati, torna a parlare di un fantomatico soggetto di centro che ruoti tutto attorno a lui.
Il fatto è che il nostro Carlo è il titolare di una originale invenzione, un bizzarro giocattolo: il Calendoscopio, un sistema di specchi che restituisce una visione psichedelica della politica, facendole cambiare sembianze ogni volta. Lui, il geniale inventore, ne fa uso praticamente quotidiano quando l’immagine pare stabilizzarsi, si annoia e dà un bello scossone, rimettendo in disordine gli specchi, per poi poter raccontare – con soddisfazione e trasporto – la nuova realtà.
La tendenza di Carlo Calenda a mettere in disordine le cose, quando paiono aver finalmente un senso, l’avevano sperimentato per primi gli elettori dem del nordest, quando alle europee del 2019 erano stati chiamati a mettersi pancia a terra per far andare il nostro a Strasburgo, salvo assistere subito dopo alla fondazione del suo partito personale. Ci erano rimasti un po’ maluccio, ma il fatto che il risultato fosse la creazione di un soggetto riformista, a chi scrive, aveva fatto considerare l’accaduto un inconveniente a fin di bene. Il problema è che sarebbero bastati solo tre anni perché la perversa passione per il mandare tutto a puttane si rimanifestasse nel più clamoroso dei modi.
Non sto qui a rifare la cronologia degli accadimenti, perché ormai appartiene alla letteratura della psicopatologia politica, ma quell’anno il nostro riuscì in un colpo a mandare in frantumi il progetto di un partito unico riformista e pure il ben più modesto patto repubblicano stretto con +Europa. Lì c’era ancora di mezzo il Pd e un’alleanzuccia elettorale, ma il tema era sempre quello: dare uno scossone al magico Calendoscopio, ogni volta che l’immagine di qualcosa prendeva forma. Per quanto riguarda il rapporto con Italia Viva, ci sarebbero stati cento-e-uno modi di accantonare l’idea del partito unico, mantenendo la contiguità politica, ma invece il nostro scelse di ricorrere a tutto il repertorio del peggio disponibile passando dall’attacco personale, alle accuse di interessi economici, all’imposizione a rinunciare alla Leopolda.
Su quest’ultima, va ancora una volta detto che le avvisaglie di una certa instabilità non erano poche: a partire dal 2015, quando Calenda la considerava una straordinaria occasione, fino al 2019, quando la descriveva come l’appuntamento di una setta di invasati. Si arriva così alle scorse europee, andate come sappiamo tutti: con il progetto politico di Stati Uniti d’Europa buttato all’aria, ancora una volta, esibendo una presunta integrità che avrebbe avuto l’unico (e raggiunto) effetto del casino inutile. Ora qualcuno potrebbe domandarsi che senso abbia, ancora una volta riguardare al passato. Il fatto è che è il presente a chiederci, nuovamente, cosa vogliamo fare: scegliere uno spazio dove il riformismo liberaldemocratico possa incidere è una scelta urgente e indispensabile per salvare la democrazia dal disastro del populismo. E se qualcosa si vuol fare, stavolta è il passato che ci deve insegnare su chi poter contare e su chi no. Il Calendoscopio lo si lascia volentieri come giochino del suo inventore instabile.
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