Molto prima che si avvicinasse il triste anniversario del 24 agosto, c’è chi ha posto una domanda diretta e sincera, che solo all’apparenza può sembrare brutale per le vittime del sisma: “A che serve ricostruire Norcia, Arquata del Tronto o Amatrice, se le persone ne debbono fuggire come si fuggirebbe da un’isola tagliata fuori da tutte le rotte? A che serve occuparsi di Norcia, Arquata o Amatrice, se insieme non ritessi la trama di città medie e di sistemi locali del lavoro dell’Italia Centrale?”.

Le domande se le pose qualche mese fa il professor Luca Diotallevi. Le risposte, come accade a tutte le risposte serie, sono semplici, anche se richiedono soluzioni complesse.
Attraverso la ricostruzione e la rigenerazione del territorio colpito dal sisma 2016 stiamo affrontando una questione nazionale: il rilancio dell’intero Centro Italia marginalizzato e abbandonato già prima delle distruzioni del sisma e oggi sempre più centrale per il futuro del paese e dell’Unione europea che si spinge sempre più a Est e a Sud.

Un Centro Italia rigenerato diventa presidio essenziale per mitigare gli effetti della crisi climatica perché solo un Appennino ripopolato contrasta il rischio idrogeologico dell’Italia, dalla Pianura Padana alle coste del Tirreno e dell’Adriatico. Il rilancio del Centro Italia è una questione nazionale anche per i nuovi equilibri di un’Europa rivolta verso e oltre i Balcani. E il centro del Centro Italia è proprio qui nell’area che ha bisogno di una ricostruzione e una rigenerazione socio-economica dopo le devastazioni di otto anni fa.

C’è una sfida in più da raccogliere, oltre alle doverose scuse alle popolazioni che hanno assistito in questi otto anni, a troppe false partenze nella ricostruzione. E oltre al cambio di passo che è stato prodotto in questi ultimi mesi, con la liquidazione di 4,5 miliardi di euro di lavori di ricostruzione e con le risorse (1,8 miliardi) del programma NextAppennino per la ripresa socio-economica del territorio.

C’è una questione territoriale che può diventare decisiva per la ripresa di un’Italia da sempre divisa in due, tra un Nord attratto dai modelli europei tracciati tra Bruxelles e Strasburgo, e un Sud emarginato, in quella irrisolta questione meridionale, che ha segnato tutta la storia dell’unità d’Italia. La più recente “questione settentrionale” (che ha avuto una sua evoluzione nella proposta di autonomia differenziata) non può essere vissuta come contraltare dell’altra, ma entrambe devono comporsi in una nuova geografia italiana ed europea, che vede al centro il Centro Italia.

Per troppo tempo ci siamo uniformati all’Europa vista da Bruxelles o da Francoforte. Tra Wiesbaden e Francoforte, appunto, ci sono più o meno gli stessi chilometri che separano Sulmona da Barrea: ma tra le due città tedesche (tutta pianura) c’è un treno veloce che copre la distanza in 38 minuti; tra i due nostri bellissimi borghi abruzzesi (percorso altimetrico da gran premio della montagna) c’è un bus che impiega un’ora e mezza.

Si deve imporre una nuova mappa europea, più attenta a Sud e a Est, che naturalmente rilancia una “questione Centro Italia” come nuova “questione nazionale”. Un Centro Italia più forte può proporsi, anche geograficamente, come nuovo centro della nuova Europa. La stessa sfida climatica richiede ai paesi del Mediterraneo (Italia e paesi balcanici) una medesima attenzione alla salvaguardia delle montagne – problema sconosciuto alle latitudini di Utrecht o di Bruxelles – il cui presidio umano è condizione ineliminabile per difendersi dal rischio idrogeologico delle valli, delle pianure e delle coste. Lo spopolamento è per tutte le aree interne il grande nemico da sconfiggere, assicurando servizi, connessioni digitali e infrastrutture di trasporto adeguati sia ai nomadi digitali, sia ai pensionati protagonisti di una nuova silver economy.

Il Centro Italia comprende Regioni che qualche anno fa erano “in convergenza” con i piani di sviluppo europeo, oggi sono “in transizione” verso la periferia, verso il Sud. Ma è il concetto di periferia che oggi – per fortuna – viene meno. In questo orizzonte le periferie non sono spacciate. Dal confine si è passati alla soglia che apre alla relazione, dal limes al limen.

Il Centro Italia è il luogo millenario di relazioni. E la ricostruzione dopo il terremoto del 2016-2017 può diventare un’occasione – il kairos – per ridisegnare la nostra geografia e la nostra storia. Il cratere del post-sisma può diventare – sta diventando – un laboratorio di rinascita per quel Centro Italia – e per quell’Appennino centrale – che si può investire di questa nuova missione per il paese intero. E per la nuova Europa post-ideologica e resiliente.

Guido Castelli – Commissario straordinario sisma 2016

Guido Castelli

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