Il dibattito dopo la lettera di 150 intellettuali su 'Harper's'
Che cosa è la cancel culture, al centro di un grande dibattito sulla libertà di espressione
La settimana scorsa 150 intellettuali hanno pubblicato una lettera aperta diffusa sulla rivista Harper’s. Una lettera contro la cancel culture intitolata A Letter on Justice and Open Debate. L’espressione, attorno alla quale è nato un acceso dibattito, letteralmente potrebbe essere tradotta come “cultura della cancellazione” o “dell’annullamento” o “della neutralizzazione”. Più grossolanamente è stata resa come “dittatura del politicamente corretto”.
L’espressione fa riferimento allo spazio, secondo il testo via via più attaccato e minacciato, del “libero scambio di informazioni e idee, linfa vitale di una società liberale [che] sta diventando sempre più limitato”. La tendenza è in atto da alcuni anni e indica la gogna e il boicottaggio social – oltre alle richieste di licenziamento – di personaggi pubblici che in un qualche caso si sono espressi in maniera considerata controversa su temi delicati. Come il razzismo, i diritti delle comunità emarginate, il sesso e il genere. La “cancellazione” ha come obiettivo quindi il mittente, più che il contenuto, di tali dichiarazioni, che vengono quindi sistematicamente attaccati sui social e apostrofati a seconda del caso come razzisti, sessisti, omofobi, transfobici, intolleranti.
“Le nostre istituzioni culturali sono sotto processo – attaccava la lettera – Le grandi proteste contro il razzismo e per la giustizia sociale stanno portando avanti sacrosante richieste di riforma della polizia, insieme a più ampie rivendicazioni per maggiori equità e inclusività nella nostra società, compresa l’università, il giornalismo, la filantropia e le arti. Ma questa necessaria presa di coscienza ha anche intensificato una nuova serie di atteggiamenti moralisti e impegni politici che tendono a indebolire il dibattito pubblico e la tolleranza per le differenze, a favore del conformismo ideologico. Mentre ci rallegriamo per il primo sviluppo, ci pronunciamo contro il secondo”.
La lettera denuncia e fa riferimento ai diversi casi di redattori licenziati in seguito alla pubblicazione di articoli considerati controversi; oppure di libri ritirati, giornalisti cui è stato impedito di scrivere di determinati temi, ricercatori licenziati; sempre per gli stessi motivi dettati dalla cosiddetta cancel culture. “I limiti di quello che si può dire senza timore di ritorsione si sono assottigliati”, e di tutto ciò ne stanno facendo le spese giornalisti, scrittori, artisti. E quindi tutta la libertà di espressione. “I limiti al dibattito, che dipendano da un governo repressivo o da una società intollerante, finiscono ugualmente per fare del male di più a chi non ha potere, e rendono tutti meno capaci di partecipare alla democrazia. Il modo di sconfiggere le idee sbagliate è mettendole in luce, discutendone, criticandole e convincendo gli altri, non cercando di metterle a tacere”, chiosa la lettera.
Tra i firmatari della lettera scrittori come Martin Amis, J.K. Rowling, Margaret Atwood e Salman Rushdie, giornalisti e opinionisti come David Brooks, Anne Applebaum e George Packer, accademici come Noam Chomsky e Francis Fukuyama, la storica attivista femminista Gloria Steinem e personaggi provenienti da altri ambienti, come lo scacchista Garry Kasparov e il jazzista Wynton Marsalis. Il testo ha suscitato apprezzamenti e critiche.
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