Sarà il Giurì d’onore a relazionare sulle dichiarazioni del deputato e vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati. È bufera dopo quelle parole sul caso Cospito che hanno acceso il dibattito su almeno due punti: i documenti sui presunti colloqui dell’anarchico Alfredo Cospito detenuto al 41-bis con esponenti di ‘Ndrangheta e Camorra; la visita all’anarchico in sciopero della fame da parte di alcuni parlamentari del Partito Democratico, lo scorso 12 gennaio, guidati dalla capogruppo Debora Serracchiani. “Allora, voglio sapere – ha urlato Donzelli in aula -, se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia?”. E qui è scattata la richiesta da parte dell’onorevole dem Federico Fornaro di ricorrere al Giurì d’Onore.

Richiesta stata accolta dalla presidenza, il leghista Lorenzo Fontana, sulla base dell’articolo che regola l’istituzione, raramente chiamata in causa. Speciale, con poteri d’inchiesta ma non coercitivi, è stata istituita per l’ultima volta nel corso della XVI legislatura. Sono tre gli elementi necessari, nella prassi parlamentare, alla nomina di un Giurì d’onore: l’addebito personale e diretto di un parlamentare nei confronti di un altro nel corso di una discussione; l’attribuzione di fatti determinati e non quindi l’espressione di un giudizio o una opinione; la possibilità che la Commissione di indagine – che non gode di poteri coercitivi – possa acquisire elementi di conoscenza in ambito parlamentare o attraverso testimonianze spontanee degli interessati.

Come detta il Regolamento della Camera all’articolo 58: “Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi la fondatezza dell’accusa”. A questo punto, dopo il via libera del Presidente della Camera, la commissione acquisirà le prove e le testimonianze e relazionerà in aula. Il Presidente della Camera assegna, recita ancora il Regolamento, “un termine per presentare le sue conclusioni alla Camera, la quale ne prende atto senza dibattito né votazione”. Si stabilirà se le accuse sono fondate o meno. La presidenza dovrà prendere atto della relazione.

Il Giurì d’onore viene raramente chiamato in causa perché il Regolamento del parlamento stabilisce che se un parlamentare ricorre “a parole sconvenienti” (articolo 59) sia richiamato dal Presidente e che sia espulso (articolo 60) se viene richiamato una seconda volta o se “ingiuria uno o più colleghi o membri del Governo”. È capitato in passato che l’istituto sia stato dribblato dopo le scuse dell’accusatore: come, ricorda l’Ansa, successe l’11 dicembre 2009 quando Maurizio Paniz di Forza Italia presentò le sue scuse a Marco Minniti per le sue dichiarazioni del giorno prima.

Secondo l’ordinamento giudiziario italiano il Giurì d’onore può intervenire se persona offesa e offensore, in casi di accuse di ingiurie o diffamazioni, prima che sia pronunciata sentenza possono chiedere la nomina di un giurì d’onore a cui “deferire il giudizio sulla verità del fatto medesimo” (art. 596 codice penale) e conferire a tale organo l’accertamento dell’eventuale danno cagionato dall’illecito e la quantificazione del suo risarcimento. Il Giurì d’onore è composto da uno o più membri, in numero dispari, che possono essere nominati dalle parti, dal Presidente del Tribunale dove pende il procedimento, da associazioni legalmente riconosciute come enti morali e sono scelti fra persone iscritte in appositi albi. È di tre mesi il tempo per pronunciare il verdetto, che può essere prorogato di altri tre mesi.

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