Sembra una cosa nuova, un mostro spuntato fuori dal nulla: la minaccia nucleare trasformata in possibilità concreta, materia di discussione nei palazzi del potere del mondo, oggetto comune dei titoloni in prima pagina. Non è una novità, invece. In quell’incubo, a braccetto con l’apocalisse nucleare, il mondo ha vissuto per tutti i decenni e qualche volta è andato davvero vicino all’ultima esplosione. Il rischio maggiore lo si è corso sessant’anni fa tondi, alla fine di ottobre, con la crisi dei missili a Cuba. Che il mondo non sia mai stato sull’orlo dell’apocalisse come in quella settimana autunnale lo si è sempre saputo. Quanto il rischio sia stato sfiorato ed evitato per miracolo, invece, lo si è capito solo un quarantina d’anni dopo, con l’accesso ai documenti dell’ex Unione sovietica.

I fatti sono noti. Il 14 ottobre due aerei spia americani fotografarono rampe di lancio per missili nucleari in costruzione a Cuba. I missili, in grado di raggiungere tutto il territorio degli Usa a sud di Seattle, non erano ancora pronti per essere lanciati ma lo sarebbero stati molto presto. I militari proposero di intervenire subito bombardando l’isola e preparando l’invasione nel giro di una settimana. Tutti erano consapevoli che i sovietici avrebbero probabilmente reagito colpendo Berlino Ovest e sarebbe stata la guerra nucleare globale. L’amministrazione Kennedy decise di procedere invece con un blocco navale, che fu però definito “quarantena” e autorizzato all’unanimità dall’Organizzazione degli Stati americani, per evitare che fosse anche formalmente un atto di guerra. Le navi dirette verso l’isola di Fidel sarebbero state fermate al largo della costa, perquisite e, ove contenessero armi o componenti di armi, costrette a tornare indietro. In quel momento una flotta russa viaggiava verso Cuba.

La sera del 22 ottobre Kennedy parlò alla nazione e annunciò il blocco. La sera del 24 ottobre il segretario del Pcus rispose con un telegramma in cui definiva il blocco “un atto di aggressione” e annunciava che alle navi russe era stato ordinato di proseguire la navigazione. In realtà molte navi russe fecero dietro front, alcune furono fermate e lasciate passare perché non trasportavano alcun materiale bellico. Una sfuggì al blocco. Intanto però la costruzione dei lanciamissili nell’isola proseguiva a ritmo accelerato e prestissimo gli ordigni sarebbero stati in funzione. Il problema non era più il blocco ma lo smantellamento delle basi, rifiutato dai sovietici. Il 26 ottobre Kennedy era ormai convinto che solo il bombardamento e l’invasione avrebbero eliminato la minaccia, al prezzo probabilmente di una guerra nucleare. Lo spiraglio si aprì quando il giornalista John A. Scali, della ABC News, si presentò nel pomeriggio alla Casa Bianca dicendo di essere stato avvicinato da una sua fonte russa: si faceva chianare Aleksandr Formin, il vero cognome era in realtà Feklisov ed era il capo del Kgb negli Usa. Proponeva a nome di Krusciov un accordo: l’Urss avrebbe smantellato i missili in cambio dell’impegno americano a non invadere mai Cuba. La proposta fu accettata. Alle 6 del pomeriggio arrivò alla Casa Bianca una lettera di Krusciov, che Bob Kennedy, ministro della Giustizia, fratello del presidente e suo più stretto collaboratore, definì “molto lunga ed emotiva” che confermava l’accordo.

I cubani non si fidavano. Castro ordinò di abbattere qualsiasi aereo americano sorvolasse l’isola anche se isolato e non più solo quando si trattasse di 2 o più aerei. La mattina del 27 ottobre Krusciov parlò alla radio smentendo l’accordo raggiunto la notte precedente. Chiedeva che, oltre all’impegno di non provare mai più a invadere Cuba, fossero smantellate le basi dei missili Jupiter in Turchia e in Italia. La Turchia era contraria. Il presidente del consiglio italiano Fanfani fece sapere a Kennedy, attraverso il presidente della Rai Ettore Bernabei che si trovava in quel momento a New York, che l’Italia era pronta ad approvare l’eliminazione delle basi missilistiche di Apulia. Gli storici sono divisi in merito al problema degli Jupiter italiani. Krusciov nelle sue memorie scrive che erano parte dell’accordo ed è un fatto che, a crisi superata, furono eliminati come quelli in Turchia.

Nella stessa mattinata un aereo spia americano fu abbattuto, e il pilota perse la vita, dalla contraerea cubana. Non era stata una decisione russa ma una scelta di Raùl Castro, che contravveniva agli ordini sovietici di non tirare sugli aerei americani. L’ordine di ingaggio americano prevedeva una immediata risposta. Kennedy scelse di evitare la rappresaglia. La Casa Bianca scelse anche di ignorare la seconda lettera di Krusciov, fingendo che non fosse mai stata inviata, e di considerare valida solo la prima proposta di accordo. In segreto, però, John Kennedy spedì il fratello dall’ambasciatore russo Dobrynin con una proposta. Gli americani avrebbero eliminato i Jupiter, del resto obsoleti, dalla Turchia ma solo dopo sei mesi, in modo da camuffare lo scambio senza farlo apparire un cedimento di Washington. L’ipotesi che il Cremlino accettasse una risposta ufficiale americana che ignorava la seconda lettera di Krusciov era considerata remota. Castro scrisse a Krusciov chiedendogli di non cedere per quanto tremendo e altissimo ne fosse il prezzo: non a caso quella lettera è definita oggi “dell’Armageddon” e lo stesso Fidel, decenni più tardi, avrebbe ammesso che la sua posizione era sbagliata. L’attesa unanime era che la guerra sarebbe cominciata martedì 30 ottobre ma forse anche prima, il 29.

Si rischiò invece che il conflitto esplodesse quello stesso giorno, sabato 27 ottobre. Le navi americane lanciarono bombe di profondità su un sottomarino russo arrivato al confine del blocco, senza sapere che disponeva di armi nucleari. Il sottomarino navigava a profondità tale da impedire le comunicazioni radio: il capitano pensò quindi che la guerra fosse cominciata e decise, in base all’ordine di ingaggio, di rispondere con le armi nucleari. Il commissario politico a bordo era d’accordo e i loro due pareri erano necessari e sufficienti per procedere. Sul sottomarino si trovava però anche il comandante della flottiglia sottomarina Vasily Arkhipov, considerato un eroe dopo per essere stato al comando degli uomini che nel luglio 1961 avevano evitato un disastro nucleare nell’ “incidente del K-19”, riparando un danno nonostante le radiazioni. Arkhipov bloccò il lancio dei missili nucleari e non è esagerato affermare che fu lui a evitare una guerra che sarebbe costata centinaia di milioni di morti. Il 28 ottobre Krusciov accettò l’accordo segreto proposto da Bob Kennedy, finse di accontentarsi dell’impegno a non invadere Cuba e ordinò lo smantellamento delle basi a Cuba. Nei mesi seguenti gli Usa fecero lo stesso con gli Jupiter in Italia e Turchia.

La guerra, nell’ottobre 1962, sarebbe potuta scoppiare per una scelta folle ma consapevole delle leadership degli Usa e dell’Urss o se Kennedy si fosse fatto prendere la mano dai militari. Ma sarebbe potuta scoppiare anche per la provocazione di un attore minore e in quella circostanza gregario come Cuba, che disobbedì ai sovietici abbattendo l’aereo americano, o per un banale incidente come nel caso del sottomarino. E in realtà nella guerra fredda l’olocausto nucleare è stato sfiorato soprattutto per equivoci, errori, banali incidenti. Il 5 novembre 1956, mentre era in corso la guerra di Suez, gli americani sospettarono un imminente attacco sovietico in base a una serie di manovre considerate sospette nei cieli di vari Paesi. Considerarono la possibilità di anticipare l’attacco con le armi nucleari. Le manovre sospette si rivelarono tutte frutto di errori o esagerazioni. Il 5 ottobre 1960 i radar americani confusero l’alba lunare sulla Norvegia con un attacco nucleare sovietico. A frenare la reazione ci fu il fatto che Krusciov si trovava in quel momento a New York e l’ipotesi dell’attacco sembrava poco credibile. Il 24 novembre 1961 l’alto comando perse i contatti con il Norad, Alto comando di difesa aerobalistica, e con molti siti balistici. Essendo i sistemi di comunicazione indipendenti la coincidenza sembrava irrealistica, dunque, temendo l’attacco, l’intera flotta di bombarderi Usa si preparò a partire. Fortunatamente si scoprì in tempo che all’origine del guasto era un singolo relay in Colorado.

La minaccia della “guerra per sbaglio” continuò a incombere anche dopo la crisi di Cuba. Il 9 novembre 1965 una tempesta magnetica solare interferì con tutti i radar nell’emisfero nord del pianeta e gli Usa si convinsero che l’attacco era cominciato: si arrivò a un millimetro dal lanciare il contrattacco. Il 15 aprile 1969, dopo l’abbattimento di un aereo da ricognizione americano, l’ordine di sganciare le bombe nucleari sulla Corea del nord. Il presidente Nixon, secondo le ricostruzioni del fattaccio era ubriaco e per fortuna ci pensò Kissinger a fermare i bombardieri. Dieci anni dopo, 9 novembre 1979, il Norad avvertì la Casa Bianca che i missili sovietici erano partiti e c’erano tra i 3 e i 7 minuti per lanciare il contrattacco. Il Norad corresse l’errore al sesto minuto. I rischi maggiori si corsero forse nell’ultima fase del confronto, la “seconda guerra fredda”, gli anni ‘80. Il 26 settembre 1983 un satellite russo avvertì che era stato lanciato un missile nucleare dagli Usa. Il colonnello Stanislav Petrov avrebbe dovuto avviare immediatamente il lancio di risposta.

Trovò strano un attacco lanciato con un solo missile, disobbedì e attese la conferma dai radar di terra, che smentirono la minaccia. Fu ringraziato per aver evitato la guerra e punito per aver disobbedito agli ordini. Meno di due mesi dopo, il 7 novembre, un’esercitazione Nato in grande stile. I sovietici si convinsero che l’esercitazione serviva da copertura per il vero attacco. Solo anni dopo fu rivelato che l’attacco nucleare preventivo di Mosca era stato evitato per un soffio. Forse il guaio peggiore, quando la minaccia nucleare diventa una eventualità concreta e temuta è proprio questo. I leader possono anche essere sufficientemente savi da evitare la distruzione totale, in fondo persino Hitler evitò di usare i micidiali gas di cui disponevano tutte le nazioni in guerra. Ma esiste anche il caso e annullare il rischio di incidenti fatali, in un contesto di massima tensione, non è possibile.