Da tempo circola un strana tesi. E cioè, la cosiddetta “sinistra per caso” dei 5 stelle, facendosi interprete di una politica pauperista e assistenzialista, viene quasi paragonata alla storica “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che ha caratterizzato, e segnato, con la sua presenza e la sua iniziativa politica, il cammino cinquantennale della Democrazia Cristiana e anche di alcune esperienze partitiche successive. Diciamolo chiaramente, però. Non c’è alcun confronto, alcun parallelismo, alcuna somiglianza tra quella esperienza della “sinistra sociale” all’interno della Dc con la “sinistra populista” interpretata dal capo dei 5 stelle, Giuseppe Conte. Si tratta, infatti, di due esperienze radicalmente diverse sotto il profilo valoriale, culturale, politico e, soprattutto, programmatico. Certo, entrambe queste esperienze partono dalla irruzione nel contesto politico italiano della cosiddetta “questione sociale”. Una “questione sociale” che si manifesta, però, sempre in forme diverse e con modalità nuove ed inedite. Ma è indubbio, comunque sia, che per affrontare adeguatamente e con intelligenza la “questione sociale” servono sempre alcuni ingredienti di fondo, al di là della diversità delle singole fasi storiche: e cioè, cultura politica, sensibilità sociale, cultura di governo e coerenza del progetto politico. Ora, è di tutta evidenza che su questo versante si qualifica una componente politica, una corrente culturale e, soprattutto, il progetto politico di un partito. Ed è anche su questo versante che si misura la serietà, la coerenza e la credibilità di un progetto politico rispetto alla sola improvvisazione, alla più bieca strumentalizzazione e ad una spinta puramente e marcatamente qualunquista.

Comunque sia, non si può confondere un partito che cavalca in modo spregiudicato un fortissimo disagio sociale – e anche di natura personale – con misure puramente assistenzialiste con le esperienze politiche che fanno proprio “dell’istanza sociale” il perno attorno alla quale si affina e si consolida un progetto politico e di governo. Basti pensare, per fare un solo riferimento storico, cosa dicevano al riguardo uomini come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini – leader indiscusso della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nel nostro paese – sull’importanza dell’istanza sociale nella concreta dialettica politica e parlamentare. Era infatti loro ferma convinzione far sì che il dato politico nuovo doveva sempre consistere nel dare alla politica sociale un ruolo non più subalterno, ma primario per la vita dello Stato, anche nella sua espressione politico ed amministrativa. Insomma, per uomini come Donat-Cattin e Marini l’istanza sociale “doveva farsi Stato”. Trovare, cioè, piena ed irreversibile cittadinanza ad ogni livello dell’organizzazione amministrativa e della gestione della cosa pubblica. Certo, parliamo anche di leader politici e di statisti che capivano ed interpretavano la “questione sociale” perchè avevano vissuto per molti
anni quei luoghi di lavoro, conoscevano per esperienza diretta e per curriculum le istanze e le domande di quei ceti sociali e, soprattutto, frequentavano non saltuariamente quelle realtà popolari.

Ecco perchè confondere la “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che abbiamo conosciuto nella storia democratica del nostro paese con chi, per fare un solo esempio concreto, vuole imporre per legge il reddito di cittadinanza a chi non lavora o a chi non ha intenzione di cercarsi un posto di lavoro resta sostanzialmente un mistero. Fermo restando, come ovvio e persino scontato, che chi non può lavorare per svariate motivazioni va aiutato e sostenuto sempre e per tutta la sua vita. Ma, detto con altre parole, cosa c’entra la “sinistra sociale” della Dc, del Ppi, della Margherita o della prima fase del Pd con il populismo anti politico, demagogico e qualunquista dei 5 stelle resta un fatto del tutto fantasioso.

Al contempo, però, va detto con forza e convinzione che oggi è sempre più necessario – seppur in forma aggiornata e rivista – riavere una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana. Una “sinistra sociale” che, traendo spunto dalla lezione e dal magistero politico, culturale ed istituzionale dei grandi leader del passato, sappia svolgere anche e soprattutto un ruolo decisivo in quell’area politica riformista e democratica lontana dall’estremismo e dal massimalismo dell’attuale sinistra a trazione Schlein e dal populismo pentastellato. Una “sinistra sociale” che può, ancora una volta, essere decisiva per difendere, promuovere e salvaguardare le istanze, le domande e gli interessi dei ceti popolari senza scivolare nel qualunquismo estremista ma attraverso un vero progetto politico e di governo. Come, del resto, fecero concretamente proprio uomini come Carlo DonatCattin, Franco Marini e tante altre donne e uomini della tradizione, sempre attuale e moderna, del cattolicesimo sociale italiano.

Giorgio Merlo

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