Il Giorno della Memoria, che come ogni anno ricorrerà il prossimo 27 gennaio, quest’anno è segnato da una presa di distanza forte delle comunità ebraiche. Ne abbiamo parlato con il professor Ugo Volli, professore onorario di semiotica dell’Università di Torino e vivace promotore di idee nel mondo dell’ebraismo italiano.

Il mondo ebraico italiano inizia per la prima volta a prendere le distanze dalla Giornata della Memoria. Perché?
«La giornata non è la ricorrenza ebraica, che si svolge in altre date, ma un momento di coscienza politica europea. Il suo senso era di riconfermare un patto di cittadinanza dopo il tradimento degli Stati europei che ci avevano tolto ogni diritto e consegnato ai carnefici, facendo memoria di questo orrore e delle sue complicità. Della ritrovata cittadinanza europea degli ebrei fa parte il diritto a vivere come gli altri e anche ad avere uno stato che possa difendere le nostre vite, impedire una nuova Auschwitz. Ora questo patto vacilla. A Israele, attaccato da tutti i lati, è diffusamente negato il diritto all’autodifesa».

Da tutti i lati, compresa una parte dell’opinione pubblica italiana, di organizzazioni…
«Le organizzazioni dell’Onu tutelano i terroristi, ospitano le loro armi e permettono loro di imprigionare gli “ostaggi” negli spazi “umanitari” che gestiscono, ma pochi protestano. È un nuovo tradimento. Il Papa dice che avendo osato difenderci con una guerra contro i terroristi e colpire i territori dove sono annidati, siamo colpevoli e probabilmente genocidi. E la sinistra con il suo seguito di intellettuali e media, ripete. Non è solo la giornata della memoria a rischio, è la nostra possibilità di vivere in Europa».

Perfino Liliana Segre diventa oggetto della boria antisemita, i suoi murales, il docufilm… per qualcuno è passata nel volgere di pochi anni da simbolo del bene a nemica pubblica, secondo una dinamica già tristemente nota.
«Liliana Segre andava bene qualche anno fa come simbolo polemico contro la destra. Poi si sono accorti che è ebrea anche lei. E dunque colpevole, qualunque cosa dica».

Per dirla male: sembra esserci chi preferisce celebrare gli ebrei morti piuttosto che difendere quelli vivi?
«Peggio. La sinistra ha rifiutato per parecchi decenni di ammettere che ci fosse stato un genocidio contro gli ebrei. Le vittime erano solo cittadini sovietici o polacchi o al massimo resistenti. L’Urss dal ‘56 ha sostenuto tutte le guerre di sterminio contro Israele fra gli applausi della sinistra. Poi hanno raffinato il discorso iniziando a distinguere fra ebrei (morti o meglio ammazzati) e “sionisti” (ancora da uccidere). La Chiesa ha fatto un percorso analogo: dopo aver tenuto un rigoroso silenzio sulla Shoà in svolgimento, ha attribuito un senso quasi religioso all’”Olocausto”. Ma è stata l’ultima a riconoscere lo Stato di Israele e ha sempre evitato di condannare il terrorismo. Nel 1974 vi fu un vescovo, tal Cappucci, arrestato dalla polizia israeliana perché trasportava nella sua auto diplomatica armi di contrabbando ai terroristi: la Chiesa considerò la sua colpa veniale, forse perché aiutava “gli oppressi”. Oggi non si tratta di armi ma di propaganda: l’atteggiamento è lo stesso».

All’allarme per l’antisemitismo montante si somma quello per l’indifferenza dei più: di fronte alle aggressioni, anche digitali, gli ebrei vengono lasciati soli a difendersi.
«Non mi meraviglio. Fu così anche ottant’anni fa. Tanta gente normale lasciò perseguitare gli ebrei e colse l’occasione per impadronirsi delle loro case, dei loro beni, dei loro posti di lavoro».

Due anni e tre mesi dopo il 7 ottobre, come vede cambiata la percezione della sicurezza che hanno gli ebrei italiani?
«Per fortuna in Italia le forze dell’ordine prendono sul serio il loro dovere (e per questo sono oggetto di una campagna di demonizzazione). In particolare sono sempre davanti alle sinagoghe, alle scuole, alle case di riposo ebraiche difendendoci a rischio della loro vita. Noi siamo molto grati a loro e al ministero degli Interni. Se non ci fossero il pericolo sarebbe grave, come quando nell’82 fu ritirata la scorta alla Sinagoga di Roma (non si sa per decisione di chi) e un commando palestinese attaccò con mitra e bombe ammazzando un bambino (Stefano Gaj Taché) e ferendo decine di persone. Ma bisognerebbe chiedersi perché solo gli ebrei e nessun altro deve da decenni vivere così, superare una guardia armata quando accompagnano i bambini a scuola o vanno a pregare. La risposta è che la “critica allo Stato di Israele” che tutti proclamano lecita è solo la maschera di un antisemitismo genocida, di cui i “critici” oggi sono in sostanza complici. Come la “critica” agli ebrei nel ‘39».

A Bologna c’è stato il caso dei disordini intorno alla Sinagoga, dove poi la Vice sindaca ha precisato di non ritenere irricevibile la grave accusa di sionismo.
«Matteo Lepore ha esposto con le sue mani dal balcone del suo municipio la bandiera in nome della quale sono state fatti migliaia di assalti terroristici prima e dopo il 7 ottobre e la la sua vice Emily Clancy ha protestato quando dopo molti mesi (e soprattutto dopo l’assalto antisemita in città) Lepore ha avuto un po’ di pudore accettando la richiesta di molti di esporre la bandiera israeliana (senza togliere l’altra). Dal mio punto di vista, l’uno e l’altra sono politicamente corresponsabili dell’assalto alla sinagoga».

C’è da questo punto di vista un cortocircuito culturale a sinistra, che affonda in un più ampio fraintendimento dell’identità europeo-occidentale, in una malcelata attrazione verso il Sud del mondo?
«Per nulla malcelata. Hamas e gli altri non ce l’hanno solo con gli ebrei, ma anche dichiaratamente con l’Occidente. Questo per la sinistra oggi è il loro pregio. Per questo li appoggiano. Come disse una volta Spadolini, “la libertà dell’Occidente di difende sotto le mura di Gerusalemme”. Israele si batte anche per L’Europa e la sinistra lo odia per questo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.