Il saluto del direttore
Grazie Riformisti, a presto e viva la libertà
Oggi ci salutiamo.
Io detesto gli addii, ho il limite di avere un cuore e di non vergognarmene, e dunque a tutti voi dico che ci rivedremo.
Dove, ancora non lo so. A Matteo Renzi ho già detto grazie mille. Oggi lo dico a tutti quanti in redazione hanno prestato abilità e professionalità al Riformista, in un anno di direzione atipica, di due politici, che han tentato di dare visibilità a una testata classica e gloriosa, ispirata a garantismo e libertà.
Spero di lasciarvi un buon ricordo di me, almeno quello di un ragazzo animato dal desiderio di far riflettere senza pregiudizio tutti i lettori ed elettori sul fatto che le nostre priorità sono spesso diverse da quelle che per pigrizia a volte un po’ sciatta il mainstream della comunicazione ci impone. Perché il conto arriva sempre e vorrei che gli italiani avessero i soldi per pagarlo senza ansie, e che il nostro amatissimo Paese diventasse a colpi di maggiore libertà e ambizione lungimirante ciò che potenzialmente può essere, cioè terra di opportunità (anche per chi nasce povero), anziché la nazione del costante paradosso sequestrato da discussioni di inutile costume.
Concorrere a tramutare aristotelicamente potenza in atto è il sogno della mia vita, ma quel che sarà di me poco importa e si vedrà.
Di sicuro, non smetterò di appassionarmi a casi di malagiustizia. L’ho sempre fatto, nelle mie già diverse vite che compongono quella che sto vivendo (dottore, avvocato, onorevole, direttore, manca solo gelataio). Perché li considero da sempre autentico abuso, ingiustizie figlie di pregiudizio che mi offendono perché io per carattere ed attitudine non penso mai male a prescindere di nessuno, ma che ho sempre vissuto: quando da giovanissimo avvocato mi affidarono lo studio del primo grado del processo contro Calogero Mannino notai un’acrimonia venata quasi di disprezzo da chi indossava la toga e voleva processare non solo un uomo ma l’intera storia politica di una comunità; quando da autore tv scrissi per Rai (che pur di non farlo condurre a me lo affidò a uno speaker di spalle, vabbè…) un format dedicato alle vittime di malagiustizia perché, raccontando la loro storia, potessero riabilitarsi almeno agli occhi di chi guardava la tv e magari li aveva malgiudicati fidandosi di una magistratura a volte sciatta, a volte politica e piena di pregiudizio, assistita da una stampa complice acritica; quando da collaboratore di Silvio Berlusconi, di cui osservavo, incredulo, il martirio di una giustizia asservita a una parte politica, e suo braccio funzionale nell’eroderne il consenso a colpi di character assasination; quando da parlamentare di Forza Italia vidi l’opposizione a diverse mie proposte contro casi analoghi e contro lo strapotere di pm che travolgevano vite, carriere, reputazioni, famiglie, imprese, dipendenti delle stesse, senza mai veder arrestare le loro stesse carriere anziché innocenti; infine, da Direttore di questo giornale, che l’editore Alfredo Romeo ha voluto sempre libero, e che lascio ad Alessandro Barbano, cui auguro buon lavoro.
A voi che ci avete letto, e in tanti casi dato cenno di approvazione o rilevanza, grazie mille. Si era malignato sarebbe stato un laboratorio politico mascherato da giornale; o mezzo per regolare qualche conto tra politici. Nulla di tutto ciò è avvenuto: l’avevamo promesso, e siamo stati di parola. Un’abitudine che tutti dovremmo recuperare e valorizzare.
Ancora grazie.
A presto.
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