Matteo Gorelli ha 29 anni ed è un educatore della comunità Kayròs guidata da Don Claudio Burgio. È giovanissimo ma la sua storia racconta quanto il perdono può essere una lezione più grande di qualsiasi altra pena. Protagoniste insieme a lui sono sua mamma, Irene Sisi e Claudia Santarelli, la moglie del carabiniere che uccise in una notte di follia.
Il nome di Matteo è legato a un’orribile pagina di cronaca nera: l’omicidio del carabiniere Antonio Santarelli, 43 anni, la notte del 25 aprile 2011. Matteo era a bordo di un’auto con altri 4 adolescenti di ritorno da un rave party dalle parti di Grosseto. Due carabinieri li fermarono per un controllo. Matteo era appena 19enne, il più grande della comitiva. Risultò positivo al test delle sostanze per cui gli fu ritirata la patente. Preso da un momento di collera, scattò la violenza sui due carabinieri a colpi di calci e spranghe. Uno dei due perse un occhio, l’altro, Antonio, finì in coma e morì un anno dopo.
Matteo ricorda perfettamente la data: “L’11 maggio 2012, il giorno più brutto della mia vita. Ho pensato che il gesto che avevo compiuto, per quando potessi sforzarmi di rimediare, conteneva l’irreparabile”, ha detto intervistato dal Corriere della Sera. Finì in carcere a Bollate. Ed è qui che inizia la seconda vita di Matteo. Ha preso una laurea in Pedagogia alla Bicocca con 110 e lode e si è iscritto per una seconda laurea in Economia. Intanto gode dei permessi di lavoro con cui ogni giorno va alla comunità Kayròs dove è educatore. Lavora a stretto contatto con minori in area penale e con loro ha un bellissimo rapporto.
Insieme a tre ragazzi (Chiara, Yassa e l’ultimo si chiama proprio Antonio) ha appena vinto un bando della Scuola dei quartieri del Comune: il loro progetto, Attitude Recordz, prevede un nuovo centro giovanile che previene la devianza e dove si insegnerà la musica, la scrittura, il video-making, la poesia. “Stiamo cercando una sede e una sala di registrazione che ci ospiti”, ha detto con entusiasmo Matteo. In 10 anni è una persona nuova, vive di sogni e si impegna a realizzarli, aiutando chi ora è quello che lui è stato tempo fa.
Tutto questo lo deve a due donne coraggiose che non lo hanno mai lasciato solo: Irene, sua mamma e Claudia, la moglie del carabiniere che uccise. All’inizio fu Irene ad avvicinarsi a Claudia per aiutare suo figlio a capire l’errore fatto: “Ero gli occhi e le orecchie di Matteo, mio figlio doveva vedere e ascoltare le vittime, per potersi pentire fino in fondo. Lui era recluso in carcere, così andavo io da loro”, ha raccontato al Corriere della Sera.
Claudia negli anni lo ha perdonato, quasi adottato. “Forse non è un caso che quella notte abbia incontrato proprio il mio Antonio. Credeva con tutto se stesso nel recupero degli adolescenti, per questo faceva il carabiniere. Pensando a come questo ragazzo è diventato oggi, un senso a tutto questo ora lo trovo”, ha detto Claudia.
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