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Hong Kong è al pari di ogni altra città cinese. Perché il principio “un Paese, due sistemi” non vale più
Il tragico incendio che ha inghiottito sette palazzi e la vita di almeno 151 persone nel quartiere di Tai Po a Hong Kong rappresenta un danno, per un’amministrazione accuratamente selezionata da Pechino, che va ben oltre l’immagine. Il mese prossimo, per effetto della legge sulla sicurezza nazionale entrata in vigore nel 2020, si terranno elezioni senza partiti di opposizione.
La tanto sbandierata efficienza e sicurezza che il sistema di controllo capillare cinese avrebbe dovuto garantire è andata letteralmente in fumo, in barba all’eliminazione di ogni opposizione ritenuta non patriottica o collusa con potenze straniere. Colpisce anche il tempismo con cui, negli stessi giorni della disgrazia, una delegazione di 80 imprenditori di Hong Kong si è recata in visita a Londra e Milano per presentare le innovazioni tecnologiche della città e stringere nuovi legami commerciali. La visita è organizzata dallo Hong Kong Trade Development Council, organo di Stato istituito nel 1966 per promuovere il commercio di Hong Kong.
La delegazione è guidata da Paul Chan, segretario alle Finanze di Hong Kong dal 2017 e membro del Comitato per la salvaguardia della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Un organo del governo di Hong Kong – che risponde a quello di Pechino – istituito con l’adozione della liberticida legge sulla sicurezza nazionale. Momento di punta della visita per gli 80 business leaders nei settori dell‘Intelligenza Artificiale, robotica, sanità digitale e mobilità verde è stato il simposio “Think Business Think Hong Kong” del 27 novembre a Milano.
Hong Kong è stata presentata come “superconnettore” e “super valore aggiunto” tra est e ovest con l’obiettivo di favorire i collegamenti tra aziende italiane, di Hong Kong e della Cina continentale. Si tratta di connessioni presenti e future tese a consolidare la Greater Bay Area, il programma di sviluppo tecnologico e commerciale di Pechino che include città come Hong Kong, Macao, Shenzhen e Guangzhou, nato con l’ambizione di competere con la Silicon Valley americana. Al South China Morning Post, uno dei delegati, Roy Lim Long-hei, fondatore e CEO di Robocore, ha affermato che la sua azienda punta al mercato sanitario italiano e all’automazione di servizi pubblici; la sua azienda è attualmente in trattativa con Poste Italiane per un massiccio lancio di servizi robotizzati in tutto il Paese.
L’evento di Milano mira anche a incoraggiare le imprese italiane a stabilire una presenza a Hong Kong. Perciò, nel suo discorso milanese, Chan ha spiegato perché l’ex colonia britannica si trova in una posizione unica per divenire un partner economico affidabile: “La forza unica di Hong Kong si basa sul nostro modello ‘un Paese, due sistemi’. Ci offre il meglio di entrambi i mondi: accesso senza soluzione di continuità al vasto mercato della Cina continentale e connettività illimitata con il mondo, con opportunità senza pari per affari e investimenti. Siamo un’economia di mercato che sostiene il sistema di common law con una solida tradizione di Stato di diritto (…) un porto franco che mantiene la libera circolazione di merci, capitali, informazioni e persone. Il modello ‘un Paese, due sistemi’ durerà a lungo, una posizione ribadita più volte dal Presidente Xi Jinping e confermata in incontri di alto profilo a livello statale e di partito a Pechino. Lo Stato di diritto è una caratteristica distintiva della nostra città. La nostra magistratura esercita il potere in modo indipendente”.
In realtà, l’autonomia di cui parla Chan è stata garantita dal principio “un Paese, due sistemi” dal 1997 al 2020, anno in cui è stata adottata la legge sulla sicurezza e riformato il sistema elettorale. L’assenza di autonomia è dimostrata dai casi del giovane attivista Joshua Wong e di Jimmy Lai, l’ex fondatore dell’Apple Daily, entrambi incarcerati da anni a Hong Kong solo per aver osteggiato la legge sulla sicurezza. Il caso di Jimmy Lai, cittadino britannico, è diventato un simbolo che ci porta a comprendere ulteriormente il modus operandi delle autorità cinesi: un regime che vuole imporsi non militarmente ma tramite la repressione nazionale, la coercizione economica, e una pressione internazionale presso parlamentari, membri di governo e imprenditori affinché facciano dichiarazioni o gesti di apertura verso la Cina. Nessun principio “un Paese, due sistemi” quindi. Hong Kong è ormai al pari di qualsiasi altra città cinese.
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